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Succulenta, ristorante che non segue le mode

Succulenta, i fornelli della nonna sono l’ispirazione

Una storia che comincia in terra di Puglia, tra i fornelli della nonna che, giorno dopo giorno, imbastisce pranzi e cene per dieci figli sempre con lo stesso amore. Proseguendo con la mamma chef e il papà pizzaiolo, sullo sfondo il ristorante di famiglia dove Matteo Mottola svolge inevitabilmente i primi passi nel mondo della ristorazione. “All’inizio – racconta Matteo Mottola, oggi titolare di Succulenta in P.zza VI Febbraio 16 a Milano – era una piccola osteria che faceva anche da bar, potevi ordinare piatti caserecci come trippa e polpette” Poi, quindici anni fa, l’arrivo a Milano con esperienze da Sorbillo e Pizzium come pizzaiolo. “Sono stato fortunato, ho avuto la possibilità di crescere e sperimentare, da Sorbillo ho anche avuto la possibilità di curare l’apertura del punto vendita in Duomo

L’importanza della famiglia

Scegliere questa strada è stato naturale, sono cresciuto in cucina seguendo le mani di mia mamma dalla quale ho ereditato la velocità e la capacità di organizzazione. Così come da mio papà ho appreso una certa giusta severità per l’ordine e la pulizia. Dalla cucina, a fine servizio, non va via nessuno fino a quanto non è tutto a posto e pulito” Ma non meno importante è la figura della nonna materna, della quale Matteo conserva un ricordo indelebile. “Non c’è mai stato giorno nel quale non preparasse le pietanze con invariato piacere e amore per l’impiattamento. Indistintamente che si trattasse di pasta e ceci piuttosto che fave e cicoria, pasta e patate piuttosto che il brodo con pezzi di carne di maiale. O del ragù, per il quale si alzava alle sei di mattina per preparalo con tanta cura

Un legame profondo con la cucina di casa

Piatti semplici, senza fronzoli. La stessa semplicità che oggi Matteo Mottola ripropone nel suo Succulenta, inaugurato tre anni fa. Ventotto coperti interni, una ventina nel dehor esterno. A dominare la sala interna, le pareti con due gigantografie. Una riproducente una strada di Sorrento, l’altra riproducente il centro medievale di Sovana che tanto gli ricorda una piazza di Villa Castelli, il paese natio. Già, perché i ricordi di infanzia sono una componente importante nella proposta offerta da Succulenta. Ogni ricetta racconta infatti il legame profondo con la cucina di casa, realizzata con materie prime selezionate. Per approdare ad un viaggio culinario che spazia nei sapori del Sud Italia, con qualche divagazione. Più per motivi personali ed affettivi che per una precisa scelta tecnica, come vedremo più avanti.

Spazio anche per la sperimentazione, Regina Succulenta l’esempio

La mia idea di cucina fonde ricordi e tradizioni di famiglia, Ma anche tanta ricerca, mi piace studiare impasti, tipologie di farina e lavorazioni diverse. Mi piace sperimentare, perché non si finisce mai di imparare” La pizza ricopre ovviamente un posto importante nella proposta di Succulenta, tra le ventidue pizze e i due calzoni presenti in carta spiccano Regina Succulenta e Genovese Napoletana. La prima con crema di patate, provola affumicata di Agerola DOP, guanciale croccante, pomodorini del Piennolo e scaglie di cacioricotta. La seconda invece ripropone sulla pizza il ragù bianco di carne e cipolle, tipico della cucina partenopea. “Il nostro impasto è un impasto molto particolare, è una biga viene preparata con farina, acqua e lievito madre. Il giorno dopo viene terminato con acqua e sale, stagliata in panetti per usare le palline dopo circa 13 ore. Con una lievitazione totale di circa 70 ore

Puglia e Campania, un viaggio tra i profumi del Sud

La cucina è un continuo viaggio tra Puglia, regione natia di Matteo Mottola, e Campania. Pugliesi sono le orecchiette di Cerignola alle cime di rapa e le polpette al ragù preparate con carne rigorosamente Podolica. Campani sono gli ziti alla genovese realizzati con una specifica tipologia di manzo e la cotoletta alla napoletana preparata con un carré di maiale battuto, farina, uovo, pane e olio. Pietanze accompagnate da un Primitivo o un Negroamaro, giusto per rimanere in zona. Rigorosamente campani i dolci, tra pastiera, babà e delizia al limone. Ma non manca il classico tiramisù e la tartin di mele che omaggia la città di Milano. Anche qui spazio alla sperimentazione, ecco allora la cheesecake ai frutti di bosco rivisitata. “E’ fatta con more, mirtilli, fragole e lamponi freschi. Sopra aggiungo una fogliolina di basilico e lo zucchero a velo. Perfetta da abbinare ad una barricata od un passito”

Qualche piccola divagazione, tra passioni ed affetti

Non solo Puglia e Campania, in carta si trovano anche i fusilli alla n’duja realizzati con fusilli di semola di grano duro tirati a mano e prodotti a Gragnano. E, per rimanere in terra calabra, la Spirilunga. Pizza fatta con patate al forno, l’immancabile n’duja e sbricciolata di taralli. Ma se l’amore per il Sud Italia è cosi prorompente, perché in carta si trovano piatti di estrazione laziale come spaghetti alla carbonara e spaghetti alla amatriciana? “Mi piace il maiale, preparo anche un raviolo ripieno di carbonara con sopra parmigiano reggiano e guanciale croccante” Può poi sembrare strano trovare pietanze sarde come cullurgiones, proposti anche nella variante con ripieno di patate e menta, e seadas. ma c’è un motivo molto preciso. “Mia moglie è sarda, seadas è il suo dolce preferito. Questi piatti sono un omaggio a lei e alla sua regione di provenienza” Succulenta, un ristorante che non segue le mode mai i sentimenti.

Cantine Colosi, viticoltura eroica

Cantine Colosi, tutto parte da Salina

Il primo a commercializzare il vino è il bisnonno, con il suo carretto porta in giro il vino acquistato dai vignaioli locali. Ma ad avviare una vera e propria produzione sono il nonno Pietro ed il papà Piero, entrambi originari di un paesino sopra Milazzo. Con alcuni studi enologici alle spalle, gettano le basi dell’azienda. “La zona di Messina era poco vocata alla produzione di vino – racconta Pietro Colosi, attuale titolare di Cantine Colosi insieme alla sorella Marianna – Così mio nonno comincia ad interfacciarsi con i contadini dell’Isola di Salina e scopre una intensa produzione di Malvasia delle Lipari.” Da qui, l’acquisto dei primi terreni nell’isola eoliana verso la fine degli anni ‘70.

La prima vendemmia nel 1983

Dopo essersi dedicato per un anno alla coltivazione della Malvasia, il nonno inizia a coltivare Inzolia, Cataratto, Nerello Mescalese e Nerello Cappuccio. Una ricerca continua, anche di terreni coltivabili, che negli anni ha portato, grazie anche agli investimenti di papà Piero, ad avere nell’Isola di Salina circa 13 ettari vitati ed una produzione intorno alle 500.000 bottiglie annue. “La prima vendemmia ricorda il titolare di Cantine Colosi – è del 1983, il risultato è stata una Malvasia declinata in due versioni. Una classica, surmaturata in pianta, l’altra passita, prodotta con appassimento dell’uva sui cannizzi per circa venti giorni perché perdesse il 30-40% del peso” Presentate due anni dopo al Vinitaly, negli anni sono diventate un punto fermo della produzione dell’azienda siciliana.

Secca del Capo, un successo che compie dieci anni

Secca del Capo, del quale festeggiamo i dieci anni di produzione, è il primo vino prodotto in collaborazione con mio papà. Si tratta di una Malvasia secca vinificata a Capofaro, dove abbiamo tuttora la cantina che si trova sotto il Monte delle Felci” Un terreno molto vocato alla coltivazione della Malvasia, la raccolta delle uve viene infatti anticipata all’ultima settimana di agosto. “Ciò ci permette di avere ancora una buona componente acitica, particolare che invece va a scemare con l’avanzare della maturazione. Partiamo quindi con la macerazione a freddo, poi inoculiamo lieviti che sviluppano note varietali capaci di risaltare i profumi dell’uva” Fermentazione a secco con gli zuccheri del mosto completamente consumati, travaso e successivamente passaggio in acciaio dove il vino affina per qualche mese. “Imbottigliato a fine febbraio-inizio marzo, sosta in azienda una settimana prima di essere etichettato e disposto orizzontalmente nel cartone”

Anche in versione passita

Nel caso della Malvasia Passita, la fermentazione dura invece 15-20 giorni con il lievito che lavora piano piano in quanto il silos è collegato ad un frigorifero con temperature e velocità di lavorazione preimpostate. L’uva viene raccolta quinci giorni prima rispetto a quella destinata alla Malvasia Naturale, ma viene fatta asciugare per un tempo più lungo.“Quando decidiamo che il livello zuccherino è arrivato al punto giusto, la temperatura viene portata a zero gradi così che il lievito smetta di lavorare e rimanga sul fondo. E il vino rimanga dolce. Facciamo quindi un travaso per eliminare lo sporco, al quale segue affinamento per un anno in acciaio. Al contrario della Malvasia Secca, per la quale il lievito viene mantenuto ad una temperatura più alta di 17-18° e la fermentazione continua fino a quando tutti gli zuccheri presenti sono consumati ed il prodotto va a secco”

Alla base della qualità, la scarsità

Rispettosa dell’ecosistema circostante, Cantina Colosi possiede una cantina di vinificazione immersa nei vigneti e parzialmente interrata come previsto dalle rigide normative dell’arcipelago eoliano. L’impianto del vigneto è realizzato a terrazze con i tipici muretti a secco, costituito da piccoli appezzamenti con filari disposti su terreni scoscesi e allevamenti a controspalliera con potatura guyot singolo. “Si lascia lo sperone per l’anno successivo con capofrutto che va in produzione per l’anno corrente – spiega Pietro Colosi – L’anno successivo, quando si fa la potatura invernale, il capofrutto che ha prodotto nella vendemmia precedente viene tagliato e lasciato a sperone. Mentre lo sperone precedente viene fatto crescere a capofrutto, lasciando tre gemme per andare a sviluppare i grappoli e non avere eccessiva vigoria. Essendo un territorio dove la resa non supera mai i 70 quintali per ettaro, per ogni ettaro mettiamo al massimo 7mila piante”

Un terreno difficile, inerbimento e sovescio le soluzioni

La difficile morfologia del terreno impone che le operazioni in vigna siano condotte esclusivamente a mano, impossibile effettuare irrigazione nel vigneto. “Le alte temperature e la conseguente siccità bloccano la maturazione delle uve, mantenendo piccoli gli acini e causando una bassa resa produttiva. Non potendo dare acqua alle piante (l’acqua che arriva a Salina attraverso le “navi dell’acqua” è riservata alla popolazione, in quanto clorata è inutilizzabile per l’agricoltura), utilizziamo alcune tecniche che ne impediscono la disidratazione. Attraverso l’inerbimento dell’intefilare, lasciamo crescere l’erba in altezza per poi trinciarla e creare un cotico erboso. Evitiamo così il surriscaldamento dello stesso e l’evaporazione dell’acqua dal sottosuolo. L’acqua viene recuperata attraverso il sovescio con le graminacee che, avendo radici fittonanti, aiutano il terreno a meglio assorbire l’acqua”

Monte Porri e Monte delle Felci, interferimento positivo

In compenso il terreno vulcanico è garanzia di mineralità. L’isola, la più lussureggiante dell’arcipelago eoliano, usufruisce infatti della presenza di ben due vulcani, entrambi spenti. Il Monte delle Felci, così detto perché l’antico cratere ospita un bosco di felci, e il Monte Porri, patrimonio dell’Unesco. “Il fatto che i due vulcani siano spenti da tempi diversi, fa sì che il terreno cambi notevolmente tra una pendice e l’altra. Monte delle Felci è un terreno molto ricco di sostanze organiche ed ossidi di ferro, molto indicato per coltivare la Malvasia. Monte Porri è invece un terreno più calcareo e sabbioso, indicato a coltivare le altre varietà” I venti che soffiano spesso sull’isola portano inoltre sui vigneti piccole percentuali di acqua marina che si depositano sulla buccia degli acini. “Interferiscono positivamente sul profilo gustativo del vino, donando una piacevole salinità”

Salina Bianco, vino estivo per eccellenza

Tra i vini prodotti, il Salina Bianco. Un vino molto fresco, indicato per la stagione estiva. L’uva viene raccolta alla mattina presto, raffreddata attraverso uno scambiatore, poi pigiata e introdotta all’interno di un silos a temperatura controllata di 14°-15°. La fermentazione dura venticinque giorni, una volta finita viene fatto un solo travaso. A seguire, il batonnage e il riposo sui lieviti. Viene quindi abbassata la temperatura a zero gradi per eliminare le particelle di sporco, filtrato nuovamente ed imbottigliato per circa 6 mesi. “E’ un vino da bersi giovane, abbinabile ad una tartare di cernia condita con olio, sale e un pizzico di pepe rosa. Magari sotto una tettoia, coccolati dalla brezza marina’’

Salina Rosso, blend senza tempo

Tra i rossi, spicca invece il Salina Rosso. Un blend di Nerello Mescalese e Nerello Cappuccio prodotto da Cantine Colosi dal 1985. “Raccogliamo e vinifichiamo insieme le uve, che non vengono raffreddate ma lavorate a temperatura ambiente. Quindi le mettiamo nel silos per farle fare una classica vinificazione in rosso” Dopo la macerazione sulle bucce, parte la fermentazione alcolica per circa otto giorni a 20° con tre rimontaggi al giorno per evitare che il cappello delle bucce, spinto in alto dalla anidride carbonica, si secchi impedendo l’estrazione del colore. “Facciamo anche il deleistage, per ossigenare il vino che sta fermentando ed evitare così note di riduzione”. Eseguita la fermentazione alcolica ed effettuato il travaso per togliere lo sporco, parte la fermentazione malolattica. Al termine della quale, si travasa il vino in botte grande dove rimane sei mesi, poi filtrato e portato in imbottigliamento.

Guardiano del Faro, la scommessa

Un vino nato quasi per caso è invece il Guardiano del Faro. “E’ stato una scommessa, avevamo in produzione un vigneto che ci dava ogni anno uva spettacolare della varietà del Nerello Mescalese. Abbiamo così deciso di vinificare a parte” L’uva, prima dell’inoculo dei lieviti, viene raffreddata ancora di più, la macerazione è a freddo e poi a cappello sommerso. Quando il cappello non ha più anidride carbonica che lo mantiene, si continua la macerazione per una settimana. Affinato per un anno in barriques da 225 lt., 60% delle quali sono francesi mentre le restanti sono americane. “E’ un vino più strutturato rispetto al Salina Rosso, perfetto da abbinare ad un pesce stocco in ghiotta, un piatto tipico delle nostre zone

Dal 2020 ufficialmente biologici, mai usato fitofarmaci

Nel 2020 Cantine Colosi ha completato il processo di riconversione al biologico di tutti i vigneti. Mediamente i vini sono esportati per il 60% della loro produzione, con gli Stati Uniti mercato di riferimento nonostante la recente politica dei dazi da questi applicata. Fanno eccezione i vini di Salina, che vengono distribuiti metà nelle Isole Eolie e metà nel restante territorio nazionale. Presente sul mercato da 40 anni, nonostante i numeri non trascurabili, Cantine Colosi rimane fedele a pratiche tradizionali. “Da sempre biologici, non abbiamo mai usato fitofarmaci già in tempi non sospetti. Per questo – conclude Pietro Colosi lavoriamo ancora con la classica busta di zolfo e rame in polvere per poter limitare al massimo le infezioni

Belcolade Award 2025: il talento incontra il cioccolato, iscrizioni aperte fino al 14 settembre

Il cioccolato torna protagonista con l’edizione 2025 del Belcolade Award, lo storico contest promosso da Puratos Italiae pensato per valorizzare i migliori giovani pasticceri italiani. Sottotitolato “Il talento incontra il cioccolato”, l’evento cambia volto e si presenta in una veste tutta nuova: più agile, creativa e in linea con le esigenze delle nuove generazioni di professionisti.

Aperto ai candidati tra i 18 e i 35 anni, il concorso si rivolge sia a professionisti già operativi nel settore della pasticceria, sia a neo-diplomati provenienti da scuole professionali. Le iscrizioni sono aperte fino al 14 settembre 2025 e si svolgono attraverso il sito ufficiale www.belcoladeaward.it.

Mystery box al posto della torta: il nuovo format 2025

La grande novità dell’edizione 2025 riguarda il format della gara, che abbandona la tradizionale struttura con semifinale e finale per concentrarsi direttamente sull’evento conclusivo. La finale nazionale si terrà il 28 ottobre presso il Food Experience Center di Puratos a Milano, in una giornata interamente dedicata alla creatività e alla performance dal vivo.

I finalisti si confronteranno con una mystery box contenente cioccolati Belcolade e altri ingredienti firmati Puratos. Con questi dovranno ideare, sviluppare e presentare un dolce originale nel tempo limite di tre ore. A essere valutata non sarà solo la qualità del dessert finale, ma l’intero processo creativo: dalla selezione degli ingredienti alla gestione del tempo, fino all’impiattamento e alla narrazione del piatto.

Un contest giovane, dinamico e sempre più social

«Vogliamo dare spazio alla libertà espressiva e alla passione – spiega Giulio Rizzo, Product Manager Cioccolato di Puratos Italia –. La mystery box ci permette di osservare la versatilità dei giovani pasticceri, la loro capacità di reagire, di improvvisare, di creare».

Anche le modalità di partecipazione sono pensate per riflettere questo approccio dinamico: oltre a inviare una ricetta originale, i candidati devono registrare un video di 2 minuti per presentare la propria creazione e spiegare perché meritano di essere selezionati. Un format più contemporaneo, che integra competenze tecniche e storytelling personale, sempre più centrale nel panorama food & pastry attuale.

Premi prestigiosi per una carriera da costruire

Il Belcolade Award offre riconoscimenti concreti e altamente formativi, in grado di dare slancio reale alla carriera dei partecipanti:

  • 🥇 Primo classificato: viaggio in uno dei Paesi d’origine del cacao Belcolade, per vivere da vicino il progetto di sostenibilità Cacao-Trace
  • 🥈 Secondo classificato: percorso formativo esclusivo con i tecnici Puratos
  • 🥉 Terzo classificato: fornitura di 50 kg di cioccolato Belcolade

Una giuria composta da cinque maestri pasticceri italiani e internazionali, rinnovata rispetto alle precedenti edizioni, sarà incaricata di valutare ogni aspetto della performance: tecnica, gestione degli ingredienti, impatto visivo e gusto.

Come partecipare al Belcolade Award 2025

Iscriversi è semplice, ma richiede impegno. Entro il 14 settembre 2025, ogni candidato dovrà:

  1. Compilare il form sul sito www.belcoladeaward.it/iscrizione
  2. Inviare una ricetta originale del proprio repertorio
  3. Caricare un video di presentazione (massimo 2 minuti)

Una volta concluse le iscrizioni, lo staff tecnico di Puratos Italia selezionerà i pasticceri finalisti che accederanno all’evento di ottobre a Milano.

Un’occasione per farsi notare nel panorama della pasticceria italiana

Negli anni, il Belcolade Award ha rappresentato un vero e proprio trampolino di lancio per decine di giovani professionisti, molti dei quali oggi lavorano in contesti di prestigio, sia in Italia che all’estero. Con l’edizione 2025, il concorso evolve nel linguaggio e nella forma, ma resta fedele al suo obiettivo originario: dare voce al talento e alla passione.

Chi sogna una carriera nella cioccolateria o nella pasticceria creativa non può perdere questa occasione. Il Belcolade Award non è solo una competizione: è un’esperienza formativa, un evento di networking e una sfida entusiasmante.

QocktailExperience by Qualunquemente, non il solito locale da compagnia

QocktailExperience by Qualunquemente, prima di un cocktail viene servita una tecnica

Due vetrine, una cinquantina di posti tra quelli interni e i tavolini posti sul marciapiede della centralissima Via Bergamo di Monza. Alla saletta d’ingresso dominata dal bancone, seguono nel retro due salette molto intime con divanetti e qualche pianta. La clientela è trasversale, si passa dai 20 ai 60 anni. Viceversa, l’imprinting del locale è molto chiaro e definito. Niente vino ne birra, neanche bibite ed amari. Quanto piuttosto il desiderio di fare vivere una esperienza, prima dei cocktail viene di fatto servita una tecnica. Ne parliamo con Riccardo Zakian, titolare di QocktailExperience by Qualunquemente.

Dai chupito alla tecnica molecolare, la metamorfosi

Inizialmente siamo partiti come chupito bar – racconta il titolare di QocktailExperience by Qualunquemente – Frutto del mio girovagare per locali in compagnia degli amici per bere cicchetti di chupito. Però mi sono presto reso conto che per stupire i clienti non dovevo sfruttare soltanto il gusto, dovevo sfruttare anche l’olfatto” Da qui è nata l’idea di utilizzare la tecnica molecolare, attraverso l’utilizzo di anidride carbonica allo stato solido. “Il timore era che potessi confondere la clientela, avrebbe potuto pensare che volevo proporre una cosa troppo seriosa. Ma quando abbiamo fatto un catering da 300 posti per il ristorante bistellato di Chef Marco Sacco, preparando 300 cocktail solidi tra tartare di Negroni in gelatina e budini di pinacolada al cioccolato, ho fatto la svolta. Da Chupito Qualunquemente siamo diventati QocktailExperience by Qualunquemente

Il Campari Shackerato ad aprire la strada

La cucina molecolare è tecnica inventata da Adrain Ferran. Basata sulla sferificazione, ovvero la creazione di sfere attraverso il passaggio da uno stato liquido ad uno semi solido. Ne è esempio una delle prime proposte di QocktailExperience by Qualunquemente, il Campari Shackerato abbinato con un caviale molecolare di Campari. “Prepariamo un caviale di Bitter Campari utilizzando il calcio e l’alginato di sodio estratto da una alga marina. Il concetto è quello della colla di pesce, ma in questo caso il vantaggio è la gelificazione dell’alginato appena tocca il bagno di calcio, tanto maggiore quanto più rimane in immersione. Si viene quindi a creare una pellicola, da sciacquare sotto l’acqua per eliminare la sapidità del calcio. La lavorazione a freddo permette poi di non perdere la componente alcolica. Il risultato finale sono piccole sfere che sotto i denti scoppiano

Profumo di Spiaggia, la tecnica al servizio del cliente

Da sottolineare, il fatto che principio cardine della proposta di QocktailExperience by Qualunquemente non è tanto la creazione di classici rivisitati quanto l’utilizzo di una tecnica per dare forma alle richieste dei clienti. “Sono partito dalla convinzione che il barman non deve stare davanti al cliente, ma farsi interprete delle richieste dello stesso. La tecnica deve essere al servizio del cliente” Così, quando un cliente ha chiesto un cocktail instagrammabile, è nato Profumo di Spiaggia. “Viene realizzato con un olio essenziale molto particolare utilizzato nella preparazione di creme per il corpo ed una citronella un poco agrumata. Da questo mix deriva lo stesso odore delle creme solari che avverti camminando su una spiaggia”

Atomic Green e Negroni Fumè, per non trascurare i classici

Nella drink list di QocktailExperience by Qualunquemente non mancano comunque cocktail che ne rappresentano la proposta base. Tra questi, il Negroni Fumè. Un Negroni affumicato in legno di faggio. Ma in lista si trova anche l’Atomic Green, variante del Long Island. “Al posto del triple sec utilizziamo un liquore giapponese al melone chiamato Midori che prepariamo anche come caviale molecolare da abbinare al cocktail” Oppure Ted, un cocktail molto dolce a base di frutta esotica adatto ai più giovani. “In questo caso il caviale molecolare è a base di Blue Curacao, un liquore all’arancia amara che ha fatto la fortuna dell’Angelo Azzurro. Abbinati al drink, vengono serviti orsetti gommosi”

La Mela Avvelenata, anche la frutta fa la sua parte

La frutta è comunque un ingrediente che ritorna, come dimostra La Mela avvelenata. “Con la polpa di una mela creiamo una sorta di budino nel quale iniettiamo il daiquiri reso solido con la gomma di xantano. Un addensante vegetale che non necessita di andare in temperatura per gelificare come invece succede nel caso della colla di pesce. Aggiungiamo poi rhum, frutta secca e lime, quest’ultimo per contrastare l’acidità e bilanciare i sapori. Una volta fuori dal frigo, otteniamo un cremoso con la leggerezza di una mousse” In lista anche il Rhum e Pera 2.0, riproposizione di un classico chupito. “In passato si affiancava al chupito di rhum un bicchierino di succo di pera, noi sostituiamo quest’ultimo con una fetta di arancia caramellata con zucchero di canna. Poi sporcato di cannella o cioccolato”

La Trasfusione del Conte Negroni, quando una festa diventa uno spunto

Non mancano poi le proposte spiritose, perché a Riccardo Zakian, tutto sommato, con i cocktail piace anche un po’ giocare. Per non essere, come si diceva prima, troppo serioso. Ecco allora che in una ricorrenza come Hallowen, dalla sua creatività e fantasia, è scaturita La Trasfusione del Conte Negroni, con il cocktail contenuto in una sacca da trasfusione. Oppure il Patto di Sangue. “Il cocktail è servito in un guanto, si pensa alla persona alla quale rivolgere il sortilegio e si pugnala il guanto al centro. Quando la pozione a contatto del bicchiere comincia a fumare, è segno che la magia è avvenuta” Sempre frutto della sua voglia di scherzare, il gin preparato con carbone vegetale che lo rende nero. Come nero è il colore degli abiti delle streghe. Ma la vera esperienza da QocktailExperience by Qualunquemente è un’altra.

Fiore Elettrico, la vera esperienza

Parliamo infatti del Fiore Elettrico, un potente anestetico e analgesico naturale. Impiegato dagli indigeni per curare mal di denti e il mal di stomaco o per preparare il curaro. “Pianta commestibile, con il suo estratto si producono gli antirughe. Quando lo si mastica, si avverte un forte senso di freschezza e frizzantezza seguito da un aumento della salivazione che pulisce le papille gustative. Scemata la frizzantezza, si passa alla degustazione” In lista, troviamo anche il BlueThai GinTonic. Un gin tonic il cui ingrediente base è il Fiore dal Pisello Blu, fiore thailandese che cambia colore al cambiare del ph. “In questo caso da blu passa a fucsia” Insomma, per dirla con le parole dello stesso Riccardo Zakian, “QocktailExperience by Qualunquemente non è il solito locale da compagnia”

La Regina dei Sentieri, la Maremma del vino tra imprenditoria e nobiltà

La Regina dei Sentieri, Maremma toscana scenario di un giallo

Molto di più di una rassegna letteraria, Montagna di Libri è momento di incontro tra autori, giornalisti, intellettuali ed artisti provenienti da tutto il mondo. Il format creato da Francesco Chimulera ha saputo costruire, edizione dopo edizione, un dialogo profondo tra letteratura, attualità e memoria, offrendo al pubblico incontri che celebrano il libro come strumento di confronto e di scoperta. Quest’anno, nel calendario dellaedizione estiva 2025 che come sempre si tiene a Cortina d’Ampezzo, spicca un appuntamento imperdibile per gli amanti del vino. Venerdì 1° Agosto gli scrittori Samantha Bruzzone e Marco Malavaldi presentano il loro ultimo libro “La Regina dei Sentieri”. Un giallo ambientato nel mondo del vino, sullo sfondo della Maremma toscana.

Quando la passione per il vino si mescola a invidie e crudeltà

La scelta di Una Montagna di Libri di aprirsi al mondo del vino non è casuale, nasce dalla consapevolezza che il vino è molto più di una bevanda. È memoria del territorio ed espressione di una identità che affonda le sue radici nel tempo. Un riconoscimento al valore del lavoro artigianale e della cura della terra. Perché il vino, come la letteratura, racconta storie e restituisce emozioni. In questo ambito, Regina dei Sentieri si inserisce in un percorso di approfondimento dei cambiamenti che hanno attraversato il mondo del vino negli ultimi trent’anni. “Si tratta di un giallo – spiega Marco Malavaldi – Il ritrovamento del cadavere di un vinattiere dalle nobili origini nel lago di una tenuta nelle campagne di Bolgheri, di proprietà dei suoi più acerrimi concorrenti (un fondo che nella tenuta ha investito), ci ha dato la possibilità di esplorare le dinamiche di un territorio che negli ultimi decenni è profondamente cambiato. E fare emergere come la passione per il vino si possa mescolare anche a invidie e crudeltà

Aziende vitivinicole, specchio del cambiamento di un territorio

Le aziende vitivinicole e la loro evoluzione sono quindi lo specchio di queste dinamiche e di questi cambiamenti, messe in evidenza attraverso le trasformazioni di un territorio un tempo depresso. “Fino a pochi decenni fa, la Maremma toscana era solo un insieme di sentieri (da qui il titolo del libro) che collegavano cantine dall’aspetto brullo e poco stimolante. Oggi, questo stesso territorio è un brulicare di tenute progettate e ristrutturate da architetti di fama e meta di celebrità dello spettacolo, come si volesse fare riflettere il bello sul buono. Con il vino divenuto portavoce del territorio” A dare la svolta, l’arrivo dell’autostrada. “Prima del suo arrivo, raggiungere la Maremma significava fare il viaggio della speranza. Con il suo arrivo si è cominciato ad investire su un territorio dove prima non si raccoglieva nemmeno quanto si coltivava, perché non conveniva”

Da luoghi di produzione a meta di celebrità

Le cantine, da semplici luoghi di produzione, sono diventate tutto d’un tratto luogo di attrattiva, meritevoli di essere conosciute e visitate. Ma ecco il rovescio della medaglia. “Le nuove possibilità hanno favorito una spinta allo sfruttamento intensivo, per non dire selvaggio, di ogni unità abitativa. Trasformata, dalla sera alla mattina, in struttura ricettiva o posti di ristorazione da parte di persone spesso improvvisate. E che gioco forza sono durate il periodo di una stagione, schiacciate da una selezione a dir poco darwiniana. Perché la Maremma ti restituisce quello che gli dai”

Maremma tra imprenditoria e nobiltà, Castello del Terriccio l’esempio

I cambiamenti di ultimi trent’anni hanno peraltro evidenziato un confronto tra imprenditoria e nobiltà. Con i fondi di investimento che rilevano le cantine da un lato, le antiche casate che producono vino sin dal Duecento dall’altro. Due modi diversi di fare vino e di concepire gli affari, che inevitabilmente ha creato competizione. Ma anche sviluppo e miglioramento. “Castello del Terriccio- sottolinea l’autore di La Regina dei Sentieri – è uno degli esempi della parte nobile, al contempo esempio di visione imprenditoriale” Una storia che parte da lontano, Castello del Terriccio è azienda che ci riporta indietro nel tempo. A quando, tra il Duecento e il Trecento, il Vescovo di Pisa (nipote di Papa Bonifacio VIII) concesse in enfiteusi la Tenuta ai Conti Gaetani, rimasti proprietari fino alla fine del Settecento.

Una tenuta sterminata, all’interno anche un antico borgo

Negli anni ’70 la vera svolta, con la rifondazione della tenuta da parte dello zio dell’attuale proprietario. Arroccata su una collina dalla quale si vede il mare, la tenuta è dominata dalle vestigia del castello la cui torre, nei secoli scorsi, faceva da punto di avvistamento per proteggere la popolazione circostante dagli attacchi dei pirati saraceni. All’interno, un piccolo borgo al quale si accede dopo aver percorso un viale alberato di quattro chilometri. “Un tempo – spiega l’attuale proprietario Vittorio Piozzo di Rosignano – era un paesino autosufficiente, con la sua scuola, il circolo ricreativo, la fornace, il mulino, il forno, la scuderia e la falegnameria. Fino alla fine degli anni ’70 ha garantito la sopravvivenza di decine di famiglie di mezzadri” Oggi la falegnameria è un moderno punto vendita, dalla antica scuderia è stata ricavata una guest house. Annesso al modernissimo ristorante, lo spazio degustazione aperto sulla terrazza panoramica con vista sui vigneti.

Letteratura e memoria storica, interesse mai sopito

Alla capacità imprenditoriale di trasformare gli spazi un tempo utilizzati dai mezzadri in moderne strutture ricettive e turistico-alberghiere, Vittorio Piozzo affianca anche un mai sopito interesse verso storia e letteratura. “Mio zio era un amante del romanzo storico, tutti gli anni organizzava a Castello del Terriccio un evento ad esso dedicato. Dopo la sua scomparsa, questa attenzione era un poco scemata. Montagna di Libri ci ha dato la possibilità di rinverdirla” Dall’anno scorso partner di Montagna di Libri, quest’anno Castello del Terriccio parteciperà alla presentazione di La Regina dei Sentieri.

Lupicaia, piccola scommessa vinta

In questo contesto, la presenza di Castello del Terriccio assume un significato emblematico. I suoi vini portano con sé il carattere della Maremma toscana e un senso del tempo assolutamente in linea con il format della manifestazione. Tra questi, Lupicaia è uno dei più rappresentativi. Nato nei primi ’90 da un vigneto circondato da filari di eucalipto, composto per il 40% da Cabernet Sauvignon e per il 60% da Petit Verdot, viene affinato in tonneaux per 22 mesi circa. “Nelle prime annate era presente una piccola percentuale di Merlot, da quindici anni lo abbiamo sostituito con il Petit Verdot. Il risultato – conclude Vittorio Piozzo – è un vino elegante e di grande struttura, dai sentori di cuoio e di caffè. Una piccola scommessa vinta”

Speciale Osteria, atmosfera anni 80

Speciale Osteria, tutto parla degli anni 80

Un team molto giovane, dai quattro soci alla brigata di sala e cucina. A dispetto dell’età, un amore condiviso per una decade conosciuta solo attraverso i racconti di genitori e i pranzi domenicali con i nonni. Dagli arredi su misura alle pareti color noce con fotografie in bianco e nero, dal pavimento in graniglia alle travi a vista e ai vetri a cattedrale, dalla mise en place dominata dal bianco alla colonna sonora di vecchie hit, tutto parla degli anni 80. “Abbiamo dato tanto valore alla ricerca estetica, frutto – afferma Stefano Cerliani, uno dei quattro titolari – della ricerca in vari mercatini. Con Speciale Osteria (Via Pastrengo 11, Milano) vogliamo proporre una atmosfera che coniughi la presenza di un oste da vecchi tempi ad una cucina molto semplice fatta di tanta tradizione e ricette provenienti dalle vecchie generazioni. Ma con la giusta contaminazione dei giorni nostri”

Tutto fatto in casa, come una volta

Ed infatti ad aprire le danze, tra gli antipasti, è un vitello tonnato servito con un pizzico di innovazione. “Facciamo – spiega il Restaurant Manager Fabio Macaluso – una salsa tonnata un poco più liquida rispetto a quella tradizionale che viene cotta con le uova sode, così da coprire tutte le fettine del vitello” A terminare, una salsina d’arrosto. “Per un tocco fresco, croccante e innovativo che aggiunge ulteriore morbidezza” Tutto viene fatto internamente, dalla pasta alle salse fino alle lavorazioni delle carni. Come avveniva negli anni 80. “Vogliamo creare una storicità e diventare il punto di riferimento del quartiere per una ristorazione diversa. Una ristorazione che veda il contributo di persone che credono in quello che fanno, come succedeva allora

Un tocco di milanesità, come da tradizione

Il menù è incentrato su piatti di terra, al momento in carta di cucina di pesce c’è solo un antipasto di baccalà mantecato. Alcuni piatti (come i fiori di zucca, la polpetta al pomodoro, il lombatello con erbe di campo) sono partiti come special, ma l’apprezzamento della clientela li ha fatti diventare punti fermi della proposta di Speciale Osteria. “Siamo fieri di questi prodotti – rimarca Stefano Cerliani –perché sono stati voluti, pensati e studiati” Da ogni voce del menù traspare semplicità, a voler ricreare l’atmosfera di casa. Con un tocco di milanesità, come dimostrano i mondeghili con maionese allo zafferano, il risotto alla milanese con midollo e gremolada e la costoletta di vitello rivestita di rucola e pomodorini. Come da tradizione, cosi come da tradizione è la lasagna servita solo alla domenica.

Gnocco fritto, il Nord Italia in un boccone

Valorizzata la parte vegetale, attraverso la cottura della brace che trova ampio spazio nel menù. “Con il forno a carbone andiamo a gestire tutta la parte dell’orto che può essere collocato sia come antipasto sia come supporto ai secondi” In carta si trovano infatti asparagi, verdure di stagione, filetto con sugo d’arrosto e costata di scottona, tutti rigorosamente alla brace. Altro punto forte della cucina sono i ragù, abbinati alle paste fresche fatte in casa. “Inevitabile richiamarsi all’Emilia, anche se in alternativa a quello più tradizionale abbiamo un ragù bianco composto per il 60% da faraona e per il 40% da coniglio” Un richiamo ripreso anche dal gnocco fritto, servito con prosciutto crudo, coppa piacentina, pancetta cotta, salame gentile e giardiniera. “Il Nord Italia in un boccone”, commenta Stefano Cerliani.

Atmosfera e proposta d’altri tempi

Scorrendo il menù, si incontra una voce che ribadisce ancora una volta di più la volontà di ricreare una proposta d’altri tempi. Forse un po’ retrò nella sua semplicità, ma proprio per questo rincuorante. E’ la “barba dei frati” condita con il limone, voce ormai scomparsa dalle tavole dei ristoranti milanesi. “Fresca e un po’ acidula, è saltata in padella per farne sentire tutto il sapore” La semplicità rimane comunque la costante della proposta di Speciale Osteria, nel piatto come nel calice. “I nostri vini – conclude Stefano Cerliani – provengono principalmente da piccole cantine. Semplici e beverini” Insomma, da Speciale Osteria si respira l’atmosfera dei vecchi trani. Dove ad una proposta onesta e sincera si unisce il piacere della buona compagnia. E chissà se in futuro, dalla cucina, non esca qualcuno con una chitarrina a cantare vecchie canzoni milanesi.

Gusto di autore sul fiume, l’estate di Makorè

Darsena ferrarese, Makorè presenta la tradizione del bacaro veneziano

Fino al 10 agosto, Makorè lascia temporaneamente la sua sede di via Palestro nel centro di Ferrara. Trasformato in un locale a cielo aperto lungo le sponde del Po. A fare da sfondo, la Darsena ferrarese che unisce il rigore della qualità gastronomica ad una atmosfera più conviviale. Qui, sulla sponda del Canale Burana riqualificato, Makorè propone la tradizione del bacaro veneziano, riproposta nella sua più pura essenzialità senza nulla concedere alla innovazione. “Ho portato in Darsena – evidenzia lo Chef Denny Lodi Rizzini – tutta l’esperienza cumulata in cinque anni di lavoro a Venezia. Ricreando un bacaro veneziano a Ferrara

Una carrellata di sapori che raccontano il mare e la laguna

Inevitabili protagonisti i cicchetti, piccoli bocconi ideali per l’aperitivo. Una carrellata di sapori che raccontano il mare e la laguna tra spada affumicato con stracchino, baccalà mantecato su polenta, alici in saor e polipetti in umido. A questi si aggiungono tramezzini e polpette, da quelle al tonno e ricotta a quelle con pecorino e melanzane. A cena piatti più strutturati per una cena completa, ma sempre informale. Dal cous cous di calamari e verdure di stagione all’hot dog di polpo con salsa barbecue e cipolle caramellate, fino ai classici spiedini di gamberi e calamari.

Esperienza versatile e accessibile, ma non mancano le ostriche

Non mancano peraltro le preparazioni crude, come la tartare di tonno e di salmone e la selezione di ostriche particolari provenienti da Italia, Irlanda e Francia. A chiudere il pasto, una selezione di dolci della tradizione come tiramisù, zuppa inglese e la brioche farcita con ricotta e pesche di stagione. Una proposta con la quale Makorè si apre alla città trasformando la sua visione di alta cucina in una esperienza versatile e accessibile. Comunque fedele ai principi di ricerca e cura del dettaglio. “Quello che facciamo in Darsena è presentare una proposta molto più semplice e diretta”. Ma gli amanti del fine dining non temano, Makorè ritornerà nella sua sede storica il 4 settembre per riproporre i suoi piatti più iconici.

Lungoparma Experience, un’esperienza immersiva al Castello di Felino

La Lungoparma Experience ha finalmente trovato la sua cornice ideale: una raffinata ala dedicata all’interno del Castello di Felino, uno dei luoghi più iconici del panorama storico e culturale parmense. In questo spazio suggestivo, intriso di storia e fascino, Lungoparma ha creato un percorso immersivo in cui ogni calice racconta il territorio emiliano con autenticità e passione.

A suggellare questo importante traguardo, arriva la nuova collaborazione con il Gruppo Bstrò, realtà di riferimento a Parma per l’alta ristorazione e gli eventi di lusso. Con oltre un decennio di esperienza, quattro ristoranti simbolo della scena gastronomica cittadina e più di 200 eventi realizzati ogni anno, il gruppo guidato da Michele Soavi è sinonimo di qualità e visione contemporanea.

La sinergia tra Lungoparma e Gruppo Bstrò prende forma sia nelle location curate dal gruppo, sia in una serie di eventi esclusivi che celebrano l’incontro tra eccellenza enologica e alta cucina, nel segno della cultura e delle tradizioni emiliane.

«Avere uno spazio dedicato all’interno del Castello di Felino è per noi motivo di grande orgoglio» – afferma Ilona Shekatur, brand manager Lungoparma – «Un luogo che ci consente di accogliere il pubblico e guidarlo in un viaggio tra i nostri vini e le nostre radici. Grazie al Gruppo Bstrò, possiamo offrire un’esperienza gastronomica completa, che unisce il meglio della nostra produzione all’arte culinaria del territorio.»

Il percorso esperienziale, allestito nei suggestivi sotterranei del castello, conduce i visitatori alla scoperta delle etichette più rappresentative del brand:

  • Quota 16: un rosso intenso, avvolgente nei profumi di frutti maturi, spezie dolci e cacao
  • Il Classico: spumante Metodo Classico, elegante e versatile
  • Il Classico Rosé: fresco e armonico, da uve Pinot Nero e Chardonnay
  • Il Bianco Reale: bianco minerale e complesso, dalla sorprendente freschezza

Arricchisce l’iniziativa anche un’alleanza con la Fondazione Magnani Rocca: chi acquista un biglietto per la Villa dei Capolavori potrà accedere anche al Castello di Felino, per un percorso integrato tra arte, gusto e cultura.

Nel medesimo contesto ha aperto ufficialmente le porte Fuoco, il nuovo ristorante firmato Gruppo Bstrò. Situato all’interno del castello, Fuoco è pensato come un luogo d’incontro tra tradizione, creatività e contemporaneità.

«Fuoco è molto più di un ristorante. È un progetto che unisce energia creativa, radici profonde e una visione moderna. Il Castello di Felino è stato la scelta naturale per dare vita a un’esperienza gastronomica unica. Fondamentale è stata la collaborazione con Lungoparma e il sostegno della famiglia Alessandrini, che ringrazio sinceramente per la fiducia riposta in questo progetto di rilancio culturale e culinario», ha dichiarato Michele Soavi, CEO Gruppo Bstrò.

Aperto tutte le sere e anche a pranzo nei weekend, Fuoco propone una cucina ispirata alla tradizione parmigiana, con un focus su tagli pregiati e piatti reinterpretati con eleganza e creatività.

La Lungoparma Experience è visitabile su prenotazione, con tour guidati e degustazioni esclusive che raccontano il territorio attraverso il vino.

L’inaugurazione ufficiale, tenutasi il 3 luglio 2025, è stata celebrata con un evento speciale che ha visto protagonista Mario Biondi in un concerto intimo sotto le stelle del castello, in un perfetto equilibrio tra emozioni musicali e sensoriali.

Con questa iniziativa, Lungoparma e Gruppo Bstrò accendono una nuova luce su Parma: un luogo dove vino, cucina e bellezza si fondono in un’esperienza unica. Un nuovo fuoco è nato nel cuore della storia – per raccontare Parma come non l’avete mai vissuta.

Calvè, presentata la nuova campagna “Maio Land” per dire basta al taste shaming

È on air la nuova campagna integrata di Calvé, “Maio Land”, che ribalta l’idea di “crimine culinario” per celebrare la libertà di gusto. Con uno storytelling pop, inclusivo e perfettamente allineato con i codici culturali di Gen Z e Millennial italiani, la campagna – firmata da Edelman Italia – prende vita attraverso un’esperienza phygital che unisce social content, attivazioni dal vivo e influencer marketing.

Al centro del progetto c’è la lotta al taste shaming, ovvero la tendenza a giudicare e deridere i gusti alimentari altrui, fenomeno in crescita soprattutto online. Proprio dai social arriva oggi un contro-movimento che rivendica con orgoglio le preferenze più insolite, trasformando l’etichetta di “crimine culinario” in un trend virale. Un messaggio che Calvé ha deciso di amplificare, ascoltando la propria community.

“Calvé è sinonimo di tradizione gastronomica italiana, ma essere un brand iconico significa anche evolversi. Abbiamo colto un sentimento diffuso: molti si sentono giudicati per ciò che mangiano. Così è nata Maio Land, un’iniziativa per dire basta al taste shaming e promuovere la libertà di espressione anche a tavola,” spiega Paolo Armato, General Manager Foods di Unilever Italia.

La campagna ha preso il via con una domanda semplice ma provocatoria: “Qual è il tuo abbinamento più originale con la maionese?”. Da lì, il coinvolgimento della community è esploso, grazie anche alla partecipazione degli ambassador Anna Zhang, Eleonora Riso e Andrea Mainardi, affiancati da una vivace squadra di creator e influencer. Centinaia i contributi raccolti, trasformati in format video ironici e virali, capaci di raccontare l’audacia e la creatività degli utenti in cucina.

Ma Maio Land è andata oltre il digitale: la conversazione si è spostata anche offline, con interviste, attivazioni sul territorio e un grande evento il 25 giugno a Cascina Cuccagna (Milano). Qui si è celebrata la nascita ufficiale di Maio Land con showcooking ispirati alle ricette della community, performance live e la consegna del Kit di cittadinanza ufficiale – un cofanetto con passaporto, costituzione del gusto, gadget e naturalmente prodotti Calvé – ai primi cittadini del gusto libero.

“Rivisitare l’idea di ‘crimine culinario’ è stato un esercizio creativo stimolante,” commenta Alejandra Gumucio Urquidi, Creative Director di Edelman Italia. “Con Maio Land abbiamo dato voce a una generazione che rifiuta le etichette, anche in cucina. Una narrazione pop, ironica e autentica, che celebra la libertà di esprimersi attraverso il cibo.”

La pianificazione media, curata da Mindshare, ha previsto una strategia multicanale su Instagram, TikTok, YouTube e le piattaforme Calvé, con una mirata attenzione a Gen Z e Millennial, target strategico per una cultura gastronomica più aperta, fluida e libera da pregiudizi.

Amaki, AmaMi Ancora celebra i suoi dieci anni

AmaMi, dagli Usa a Milano il passo è breve

Da dieci anni AmaMi delizia il palato dei milanesi con la sua pizza senza lievito, una proposta nata dallo spirito imprenditoriale di Mauro Rossetto dopo una breve quanto significativa esperienza a Miami e, prima ancora, in una importante catena di pizzerie. “Quella della pizza senza lievito è una idea che Mauro ha sviluppato insieme ai titolari di Brik Oven, quando vi lavorava – specifica Cristiana Serafini, cotitolare e moglie del fondatore di AmaMi – Poi, una volta lasciato Brik Oven, ha pensato di esportare questa idea negli Stati Uniti insieme ad alcuni soci. Ma il mercato statunitense non era pronto ed allora, volendo rientrare in Italia, ha pensato di investire a Milano

Pizza friabile e leggera, punto di riferimento

Certo il periodo non era dei più favorevoli, l’imminente Expo2015 aveva fatto lievitare enormemente i costi degli affitti. Ma la volontà di aprire questo format nella propria città è troppo forte per Mauro Rossetto. Dopo circa otto mesi di ricerca apre AmaMi in Via Vespucci. La zona, densa di uffici e molto frequentata dai turisti, è ideale per coniugare il desiderio di aprire a Milano con l’esperienza maturata negli Stati Uniti. Velocemente diventa il punto di riferimento a Milano della pizza leggera e friabile, anche se nel tempo la cucina ha preso sempre più spazio.

AmaMi Ancora, un altro tipo di seduta

Un AmaMi tira l’altro, nasce così nel 2024 AmaMi Ancora nel quartiere Porta Romana di Milano. La location è elegante e conviviale, arredata dal designer milanese Andrea Langhi. Il quartiere è residenziale, AmaMi Ancora è pensato per un altro ritmo ed un altro tipo di seduta. Aperto tutti i giorni con orario continuato, è infatti possibile mangiare a qualsiasi ora. “Le persone non si devono chiedere quale sia l’orario di apertura o di chiusura. Nei nostri locali devono respirare una atmosfera calda ed accogliente, una familiarità che si sposa con l’attenzione al dettaglio. Perché si perdona più un piatto mal riuscito che una mancanza di cortesia”

Semplicemente contemporaneo

Diversamente da Via Vespucci che segue una linea più vocata alla tradizione, da AmaMi Ancora si respira una aria più contemporanea ed europea. Il risultato lo si vede in cucina. Da AmaMi trionfano piatti come il raviolo condito con burro, salvia e tartufo, oltre i classici spaghetti alla amatriciana, cotoletta di vitello e tartare. Il tutto annaffiato da vino, birra artigianale e, per i più “avventurieri”, sidro e kombucha. Da AmaMi Ancora è invece la pizza a essere assoluta protagonista, tanto che una delle pizze che compongono il menù si chiama Margherita Sovrana. “E’ una Margherita con pachino e datterini gialli, nella sua semplicità incontra il gusto di tutti ” Iconica, la Milano da Bere. “Con il salame piccante, la ventricina e, sopra, il peperoncino piccante è uno stimolo irresistibile per il palato

Il commensale sceglie l’impasto, al pairing ci pensa AmaMi Ancora

In entrambe le location, ogni giorno si prepara la pizza utilizzando impasti con farine diverse. Al commensale la possibilità di scegliere tra Senatore Cappelli, farro, integrale, canapa e, per coloro che vogliono una maggiore croccantezza, grano saraceno e grano arso. Particolare è anche la forma che somiglia ad una lingua, un dettaglio che aggiunge un tocco visivo distintivo. Accanto alle pizze, sfiziosità varie come il gnocco fritto servito con cinta senese e le chips di polenta taragna servite con gorgonzola e crema di carote .A rendere diversa l’offerta di AmaMi Ancora è anche il pairing, che spazia dai cocktail ai mocktail. Ad ogni pizza, è abbinato un drink consigliato dalla sala. “Uno dei primi drink che abbiamo proposto qui ad AmaMi Ancora – ricorda Cristiana Serafini – è stato fatto con un distillato analcolico italiano a base di erbe”

Amaki, novità del decennale

Ma poiché ricorrono i dieci anni, per festeggiarli AmaMiAncora ha presentato una novità destinata a conquistare gli amanti del gusto. Sono gli amaki, un formato originale che rivoluziona il modo di gustare la pizza. Frutto di una attenta ricerca e sperimentazione, i nuovo rotoli di pizza da mangiarsi in un boccone sono presentati come fossero uramaki. “All’interno hanno solo la mozzarella, la pizza viene cotta arrotolata e poi tagliata a pezzettini e farcita a crudo con formaggi selezionati, salumi DOP, verdure di stagione e salse gourmet. Abbiamo voluto creare un prodotto che coniugasse la nostra passione per la pizza con l’esigenza di proporre qualcosa di nuovo e ricercato ma pratico e al passo con i tempi. Per unire gusto e qualità a leggerezza e innovazione” Apprezzatissimi, tra i tanti, quelli con prosciutto e patè di carciofi e quello con gorgonzola,avocado e miele

Brunch, per creare condivisione

Se gli amaki sono la vera novità, il brunch del weekend vuole essere innovativo. Tra le proposte dolci troviamo yogurt greco con gocce di miele e mix di frutta, pancake integrali con succo di acero e frutti di bosco, crostata di grano saraceno con confettura di frutta e le classica torta di mele. Tra le proposte salate, si può invece spaziare tra focaccia senza lievito con olio e rosmarino, stick di patate americane con salsa allo yogurt, omelette con ratatouille di verdure, hummus di ceci con sesamo e paprika oltre a mondeghili con coulis di pomodoro pachino confit e le immancabili uova strapazzate con formaggio e quelle in camicia con speck croccante. “Da dieci anni creiamo piatti in grado di esprimere il sapore autentico delle materie prime – conclude il titolare Mauro Rossetto – Amaki e brunch vogliono essere un momento nel quale il gusto incontra la condivisione