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Lungoparma Experience, un’esperienza immersiva al Castello di Felino

La Lungoparma Experience ha finalmente trovato la sua cornice ideale: una raffinata ala dedicata all’interno del Castello di Felino, uno dei luoghi più iconici del panorama storico e culturale parmense. In questo spazio suggestivo, intriso di storia e fascino, Lungoparma ha creato un percorso immersivo in cui ogni calice racconta il territorio emiliano con autenticità e passione.

A suggellare questo importante traguardo, arriva la nuova collaborazione con il Gruppo Bstrò, realtà di riferimento a Parma per l’alta ristorazione e gli eventi di lusso. Con oltre un decennio di esperienza, quattro ristoranti simbolo della scena gastronomica cittadina e più di 200 eventi realizzati ogni anno, il gruppo guidato da Michele Soavi è sinonimo di qualità e visione contemporanea.

La sinergia tra Lungoparma e Gruppo Bstrò prende forma sia nelle location curate dal gruppo, sia in una serie di eventi esclusivi che celebrano l’incontro tra eccellenza enologica e alta cucina, nel segno della cultura e delle tradizioni emiliane.

«Avere uno spazio dedicato all’interno del Castello di Felino è per noi motivo di grande orgoglio» – afferma Ilona Shekatur, brand manager Lungoparma – «Un luogo che ci consente di accogliere il pubblico e guidarlo in un viaggio tra i nostri vini e le nostre radici. Grazie al Gruppo Bstrò, possiamo offrire un’esperienza gastronomica completa, che unisce il meglio della nostra produzione all’arte culinaria del territorio.»

Il percorso esperienziale, allestito nei suggestivi sotterranei del castello, conduce i visitatori alla scoperta delle etichette più rappresentative del brand:

  • Quota 16: un rosso intenso, avvolgente nei profumi di frutti maturi, spezie dolci e cacao
  • Il Classico: spumante Metodo Classico, elegante e versatile
  • Il Classico Rosé: fresco e armonico, da uve Pinot Nero e Chardonnay
  • Il Bianco Reale: bianco minerale e complesso, dalla sorprendente freschezza

Arricchisce l’iniziativa anche un’alleanza con la Fondazione Magnani Rocca: chi acquista un biglietto per la Villa dei Capolavori potrà accedere anche al Castello di Felino, per un percorso integrato tra arte, gusto e cultura.

Nel medesimo contesto ha aperto ufficialmente le porte Fuoco, il nuovo ristorante firmato Gruppo Bstrò. Situato all’interno del castello, Fuoco è pensato come un luogo d’incontro tra tradizione, creatività e contemporaneità.

«Fuoco è molto più di un ristorante. È un progetto che unisce energia creativa, radici profonde e una visione moderna. Il Castello di Felino è stato la scelta naturale per dare vita a un’esperienza gastronomica unica. Fondamentale è stata la collaborazione con Lungoparma e il sostegno della famiglia Alessandrini, che ringrazio sinceramente per la fiducia riposta in questo progetto di rilancio culturale e culinario», ha dichiarato Michele Soavi, CEO Gruppo Bstrò.

Aperto tutte le sere e anche a pranzo nei weekend, Fuoco propone una cucina ispirata alla tradizione parmigiana, con un focus su tagli pregiati e piatti reinterpretati con eleganza e creatività.

La Lungoparma Experience è visitabile su prenotazione, con tour guidati e degustazioni esclusive che raccontano il territorio attraverso il vino.

L’inaugurazione ufficiale, tenutasi il 3 luglio 2025, è stata celebrata con un evento speciale che ha visto protagonista Mario Biondi in un concerto intimo sotto le stelle del castello, in un perfetto equilibrio tra emozioni musicali e sensoriali.

Con questa iniziativa, Lungoparma e Gruppo Bstrò accendono una nuova luce su Parma: un luogo dove vino, cucina e bellezza si fondono in un’esperienza unica. Un nuovo fuoco è nato nel cuore della storia – per raccontare Parma come non l’avete mai vissuta.

Calvè, presentata la nuova campagna “Maio Land” per dire basta al taste shaming

È on air la nuova campagna integrata di Calvé, “Maio Land”, che ribalta l’idea di “crimine culinario” per celebrare la libertà di gusto. Con uno storytelling pop, inclusivo e perfettamente allineato con i codici culturali di Gen Z e Millennial italiani, la campagna – firmata da Edelman Italia – prende vita attraverso un’esperienza phygital che unisce social content, attivazioni dal vivo e influencer marketing.

Al centro del progetto c’è la lotta al taste shaming, ovvero la tendenza a giudicare e deridere i gusti alimentari altrui, fenomeno in crescita soprattutto online. Proprio dai social arriva oggi un contro-movimento che rivendica con orgoglio le preferenze più insolite, trasformando l’etichetta di “crimine culinario” in un trend virale. Un messaggio che Calvé ha deciso di amplificare, ascoltando la propria community.

“Calvé è sinonimo di tradizione gastronomica italiana, ma essere un brand iconico significa anche evolversi. Abbiamo colto un sentimento diffuso: molti si sentono giudicati per ciò che mangiano. Così è nata Maio Land, un’iniziativa per dire basta al taste shaming e promuovere la libertà di espressione anche a tavola,” spiega Paolo Armato, General Manager Foods di Unilever Italia.

La campagna ha preso il via con una domanda semplice ma provocatoria: “Qual è il tuo abbinamento più originale con la maionese?”. Da lì, il coinvolgimento della community è esploso, grazie anche alla partecipazione degli ambassador Anna Zhang, Eleonora Riso e Andrea Mainardi, affiancati da una vivace squadra di creator e influencer. Centinaia i contributi raccolti, trasformati in format video ironici e virali, capaci di raccontare l’audacia e la creatività degli utenti in cucina.

Ma Maio Land è andata oltre il digitale: la conversazione si è spostata anche offline, con interviste, attivazioni sul territorio e un grande evento il 25 giugno a Cascina Cuccagna (Milano). Qui si è celebrata la nascita ufficiale di Maio Land con showcooking ispirati alle ricette della community, performance live e la consegna del Kit di cittadinanza ufficiale – un cofanetto con passaporto, costituzione del gusto, gadget e naturalmente prodotti Calvé – ai primi cittadini del gusto libero.

“Rivisitare l’idea di ‘crimine culinario’ è stato un esercizio creativo stimolante,” commenta Alejandra Gumucio Urquidi, Creative Director di Edelman Italia. “Con Maio Land abbiamo dato voce a una generazione che rifiuta le etichette, anche in cucina. Una narrazione pop, ironica e autentica, che celebra la libertà di esprimersi attraverso il cibo.”

La pianificazione media, curata da Mindshare, ha previsto una strategia multicanale su Instagram, TikTok, YouTube e le piattaforme Calvé, con una mirata attenzione a Gen Z e Millennial, target strategico per una cultura gastronomica più aperta, fluida e libera da pregiudizi.

Amaki, AmaMi Ancora celebra i suoi dieci anni

AmaMi, dagli Usa a Milano il passo è breve

Da dieci anni AmaMi delizia il palato dei milanesi con la sua pizza senza lievito, una proposta nata dallo spirito imprenditoriale di Mauro Rossetto dopo una breve quanto significativa esperienza a Miami e, prima ancora, in una importante catena di pizzerie. “Quella della pizza senza lievito è una idea che Mauro ha sviluppato insieme ai titolari di Brik Oven, quando vi lavorava – specifica Cristiana Serafini, cotitolare e moglie del fondatore di AmaMi – Poi, una volta lasciato Brik Oven, ha pensato di esportare questa idea negli Stati Uniti insieme ad alcuni soci. Ma il mercato statunitense non era pronto ed allora, volendo rientrare in Italia, ha pensato di investire a Milano

Pizza friabile e leggera, punto di riferimento

Certo il periodo non era dei più favorevoli, l’imminente Expo2015 aveva fatto lievitare enormemente i costi degli affitti. Ma la volontà di aprire questo format nella propria città è troppo forte per Mauro Rossetto. Dopo circa otto mesi di ricerca apre AmaMi in Via Vespucci. La zona, densa di uffici e molto frequentata dai turisti, è ideale per coniugare il desiderio di aprire a Milano con l’esperienza maturata negli Stati Uniti. Velocemente diventa il punto di riferimento a Milano della pizza leggera e friabile, anche se nel tempo la cucina ha preso sempre più spazio.

AmaMi Ancora, un altro tipo di seduta

Un AmaMi tira l’altro, nasce così nel 2024 AmaMi Ancora nel quartiere Porta Romana di Milano. La location è elegante e conviviale, arredata dal designer milanese Andrea Langhi. Il quartiere è residenziale, AmaMi Ancora è pensato per un altro ritmo ed un altro tipo di seduta. Aperto tutti i giorni con orario continuato, è infatti possibile mangiare a qualsiasi ora. “Le persone non si devono chiedere quale sia l’orario di apertura o di chiusura. Nei nostri locali devono respirare una atmosfera calda ed accogliente, una familiarità che si sposa con l’attenzione al dettaglio. Perché si perdona più un piatto mal riuscito che una mancanza di cortesia”

Semplicemente contemporaneo

Diversamente da Via Vespucci che segue una linea più vocata alla tradizione, da AmaMi Ancora si respira una aria più contemporanea ed europea. Il risultato lo si vede in cucina. Da AmaMi trionfano piatti come il raviolo condito con burro, salvia e tartufo, oltre i classici spaghetti alla amatriciana, cotoletta di vitello e tartare. Il tutto annaffiato da vino, birra artigianale e, per i più “avventurieri”, sidro e kombucha. Da AmaMi Ancora è invece la pizza a essere assoluta protagonista, tanto che una delle pizze che compongono il menù si chiama Margherita Sovrana. “E’ una Margherita con pachino e datterini gialli, nella sua semplicità incontra il gusto di tutti ” Iconica, la Milano da Bere. “Con il salame piccante, la ventricina e, sopra, il peperoncino piccante è uno stimolo irresistibile per il palato

Il commensale sceglie l’impasto, al pairing ci pensa AmaMi Ancora

In entrambe le location, ogni giorno si prepara la pizza utilizzando impasti con farine diverse. Al commensale la possibilità di scegliere tra Senatore Cappelli, farro, integrale, canapa e, per coloro che vogliono una maggiore croccantezza, grano saraceno e grano arso. Particolare è anche la forma che somiglia ad una lingua, un dettaglio che aggiunge un tocco visivo distintivo. Accanto alle pizze, sfiziosità varie come il gnocco fritto servito con cinta senese e le chips di polenta taragna servite con gorgonzola e crema di carote .A rendere diversa l’offerta di AmaMi Ancora è anche il pairing, che spazia dai cocktail ai mocktail. Ad ogni pizza, è abbinato un drink consigliato dalla sala. “Uno dei primi drink che abbiamo proposto qui ad AmaMi Ancora – ricorda Cristiana Serafini – è stato fatto con un distillato analcolico italiano a base di erbe”

Amaki, novità del decennale

Ma poiché ricorrono i dieci anni, per festeggiarli AmaMiAncora ha presentato una novità destinata a conquistare gli amanti del gusto. Sono gli amaki, un formato originale che rivoluziona il modo di gustare la pizza. Frutto di una attenta ricerca e sperimentazione, i nuovo rotoli di pizza da mangiarsi in un boccone sono presentati come fossero uramaki. “All’interno hanno solo la mozzarella, la pizza viene cotta arrotolata e poi tagliata a pezzettini e farcita a crudo con formaggi selezionati, salumi DOP, verdure di stagione e salse gourmet. Abbiamo voluto creare un prodotto che coniugasse la nostra passione per la pizza con l’esigenza di proporre qualcosa di nuovo e ricercato ma pratico e al passo con i tempi. Per unire gusto e qualità a leggerezza e innovazione” Apprezzatissimi, tra i tanti, quelli con prosciutto e patè di carciofi e quello con gorgonzola,avocado e miele

Brunch, per creare condivisione

Se gli amaki sono la vera novità, il brunch del weekend vuole essere innovativo. Tra le proposte dolci troviamo yogurt greco con gocce di miele e mix di frutta, pancake integrali con succo di acero e frutti di bosco, crostata di grano saraceno con confettura di frutta e le classica torta di mele. Tra le proposte salate, si può invece spaziare tra focaccia senza lievito con olio e rosmarino, stick di patate americane con salsa allo yogurt, omelette con ratatouille di verdure, hummus di ceci con sesamo e paprika oltre a mondeghili con coulis di pomodoro pachino confit e le immancabili uova strapazzate con formaggio e quelle in camicia con speck croccante. “Da dieci anni creiamo piatti in grado di esprimere il sapore autentico delle materie prime – conclude il titolare Mauro Rossetto – Amaki e brunch vogliono essere un momento nel quale il gusto incontra la condivisione

Tappo a vite, la scommessa di Cantele

Cantele, emigrazione al contrario

Erano gli anni Cinquanta quando Giovan Battista Cantele e sua moglie Teresa si trasferirono con l’intera famiglia da Imola al Salento. Un amore per queste terre trasmesso ai figli Augusto e Domenico, sono questi ultimi che, vent’anni dopo, danno una spinta decisiva all’azienda piantando i primi degli attuali 50 ettari di proprietà. Oggi gestiti dalla terza generazione, costituita dai quattro nipoti che hanno portato Cantele ad essere una delle più importanti aziende vinicole della Puglia. Con uno sguardo sempre attento alla salvaguardia ambientale e all’intero ciclo produttivo, basato su un utilizzo efficiente delle risorse ed un contenimento degli sprechi.

Inversione termica e lieviti poco impattanti, linee guida

Utilizzo lieviti selezionati, escludendo quei lieviti che risultino essere fortemente impattanti a livello aromatico – spiega Gianni Cantele, uno degli attuali proprietari di Cantele – Preferisco lavorare sulla inversione termica durante la fermentazione, così da portare i lieviti ad una fermentazione prematura alla temperatura di circa 18° per poi portarli a 12°-13°ce così tenerli per un paio di giorni. L’effetto che ne deriva è la formazione di aromi iolici che danno una maggiore complessità al vino” A contraddistinguere la produzione, i rosati che sono sempre stati una peculiarità dell’azienda. Tra questi, il Negroamaro Rosato Rohesia risulta essere uno dei vini più rappresentativi e amati dell’azienda salentina.

Tra tradizione e innovazione


Il Negroamaro è certamente il vitigno per noi più identitario, è la varietà che probabilmente meglio si presta alla vinificazione in rosato sostiene Gianni Cantele – Lavorando direttamente in pressa e procedendo con una lunga macerazione delle bucce a contatto con il mosto, siamo arrivati a definire una colorazione più decisa Ma non solo per una appartenenza territoriale, del quale il Negroamaro è espressione. In una sorta di trait d’union che collega tradizione e innovazione, le bottiglie di Negroamaro Rosato Rohesia di Cantele introducono una piccola rivoluzione.

Tappo a vite, una scelta che guarda al futuro

A 10 anni dalla sua nascita, il Negroamaro Rosato Rohesia è infatti il primo vino dell’azienda ad adottare la chiusura con ìl tappo a vite. Una scelta che ha preso forma con l’avvio cinque anni fa del progetto di ristrutturazione dell’impianto di imbottigliamento e l’adozione di un sistema di chiusura alternativo, concretizzatosi con l’introduzione del tappo VinTop. E’ una scelta che guarda al futuro, nonostante la tradizionale diffidenza del consumatore italiano verso questa tecnologia – spiega Gianni Cantele – Siamo convinti che innovazione e qualità vadano di pari passo, il Rohesia 2024 ne è la dimostrazione” Con una decisa virata verso una sempre maggiore sostenibilità delle pratiche produttive. “Il tappo in alluminio è completamente riciclabile e permette di mantenere la qualità inalterata nel tempo

Permeabilità all’ossigeno, scommessa vinta

L’utilizzo del tappo a vite non è comunque una novità enologica. “E’ la forma di chiusura più utilizzata all’estero per vini come il Sauvignon Blanc e il Pinot Nero – rileva Gianni Cantele – Probabilmente perché i mercati meno legati alla tradizione del tappo di sughero hanno puntato sulla possibilità di meglio preservare le caratteristiche dei vini con il tappo a vite. Un dato che ci ha sospinto a rompere gli indugi rispetto a quella che era la resistenza del mercato verso questo tipo di chiusura” Anche per una questione di qualità e praticità. La bassa permeabilità all’ossigeno supera di oltre dieci volte le performance della chiusura con il tappo di sughero, garantendo così una protezione costante nel tempo. Ai vini giovani consente di esprimere la loro freschezza, a quelli invecchiati di conservarsi evitando sentori di tappo”

Negroamaro Rohesia, risposta al territorio

Negroamaro Rosato Rhoesia è indubbiamente il prodotto di punto della proposta di Cantele, ma i 50 ettari dell’azienda salentina sono oggi impostatati sulla produzione anche di Susumaniello, Primitivo e Chardonnay. “Parte della nostra tenuta è in una contrada sormontata da una masseria, chiamata Monte Calabrese, che sorge sopra una lievissima elevazione del terreno oscillante tra i 40 e 50 metri. Il terreno è calcareo-argilloso, caratterizzato da una aridità dovuta alle scarse precipitazioni. Fortunatamente la vite va molto in profondità con le radici, riuscendo così a sopperire l’aridità del terreno”

Amativo, blend rappresentativo

Tra i vini dei quali Cantine Cantele è orgogliosa, senza dubbio va annoverato l’Amativo. Espressione dei due vitigni più importanti del territorio. “E’ il blend tra Primitivo e Negroamaro che negli anni ’90 mio padre ha pensato ispirandosi ai supertuscan. Ha combinato il potenziale di esplosività aromatica e di potenza olfattiva del Primitivo con la austera ma elegante tannicità del Negroamaro che porta struttura al vino. Parliamo ovviamente di due vitigni diversi che maturano in tempi diversi e vengono vinificati in tempi diversi, quindi solo quando sono entrambi pronti viene fatto l’assemblaggio” Il blend prevede un 60% di Primitivo e 40% Negroamaro, dopo 12 mesi di affinamento in legno fa un passaggio in acciaio prima di fare imbottigliamento per un paio di mesi.

Verdeca, l’alternativa

Di riscoperta si tratta quando invece parliamo del Verdeca. “Fa parte della nostra linea classica, lo abbiamo inserito dieci anni fa come alternativa allo Chardonnay che cominciava a perdere colpi a favore dei vitigni autoctoni. Ecco che abbiamo rilanciato un vino come la Verdeca caratterizzato da una acidità importante, freschezza ed una buona versatilità dal punto di vista enogastronomico” Senz’altro interessante è poi il Teresa Manara, un Negroamaro in purezza dedicato alla fondatrice dell’azienda. Prodotto da vigneti molto vecchi, allevati ad alberello.

Teresa Manara, rispettata la filosofia aziendale

Le uve in piena maturazione vengono raccolte subito dopo Ferragosto. La fermentazione inizia in serbatoi d’acciaio e verso la fine il mosto viene travasato in barrique nel quale rimane per circa sette mesi. L’affinamento avviene in botti di primo passaggio per il 30%, in botti di secondo e terzo passaggio per il 70%. L’assemblaggio di tre declinazioni diverse dello stesso vino che hanno fermentato in legni diversi – conclude Gianni Cantele – permette quindi di avere un vino estremamente complesso e con una bella spalla acida. In linea con l’idea iniziale di mio padre di creare un vino dalla personalità molto forte e dalla buona longevità. Teresa Manara è la filosofia di Cantele in bottiglia

Laboratorio Sinestetico, il Salento si racconta

Profumi che trovano forma nel Laboratorio Sinestetico, dove le materie prime vengono valorizzate attraverso ricette pensate per creare un dialogo sensoriale tra cibo e vino. “L’ispirazione per gli abbinamenti nasce dal territorio salentino. Accanto ad un hummus di ceci con polpa di melanzana e ortaggi di stagione abbiniamo il Teresa Manara Chardonnay la cui morbidezza avvolgente e complessità aromatica valorizzano la cremosità del piatto mentre le note tostate bilanciano l’affumicatura della melanzana. Alle orecchiette con crema di rape, caciocavallo e polvere di olive nere accostiamo il Rohesia Negroamaro, la sua freschezza e struttura esaltano sia le note sapide della crema di rape sia l’intensità del caciocavallo e delle olive. La persistenza ed i tannini eleganti insieme ai sentori di ribes e spezie dolci del Teresa Manara Negroamaro sono invece il perfetto accompagnamento a lunghe cotture e carni succulente. Con Laboratorio Sinestetico – conclude Gianni Cantele – evochiamo il racconto autentico del Salento attraverso i sensi

Taleggio DOP, boom dell’export nel 2024: +11,6% e leadership internazionale

Il Consorzio Tutela Taleggio conferma la solidità produttiva e la crescita all’estero, trainata da Europa, USA e Regno Unito. Qualità e promozione le chiavi del successo.

Un 2024 all’insegna dell’internazionalizzazione

Il Consorzio Tutela Taleggio archivia un 2024 da record sul fronte dell’export, con un incremento dell’11,6% rispetto all’anno precedente. A fronte di una produzione stabile, pari a 8.693.815 kg, il Taleggio DOP si conferma sempre più ambasciatore dell’eccellenza casearia italiana nel mondo, consolidando la propria presenza nei mercati strategici dell’Unione Europea e nei principali Paesi extra UE come Stati Uniti e Regno Unito.

Una produzione solida nonostante le difficoltà

Il comparto lattiero-caseario ha affrontato nel 2024 un contesto difficile, segnato da criticità economiche e ambientali, ma il Consorzio ha saputo rispondere con prontezza e visione. «Nel 2024 abbiamo dimostrato resilienza e capacità di adattamento, mantenendo saldo il nostro impegno nella tutela e promozione del Taleggio DOP», ha dichiarato Lorenzo Sangiovanni, Presidente del Consorzio.

Il dato produttivo stabile, vicino alle 8.7 mila tonnellate, conferma la tenuta delle aziende consorziate, grazie a standard qualitativi elevati e a un sistema di controllo e valorizzazione efficace e condiviso.

Export in crescita: l’Europa fa da traino, gli USA confermano il primato extra UE

Il volume totale delle esportazioni nel 2024 ha raggiunto 2.574 tonnellate, pari al 29,6% dell’intera produzione. Un dato che testimonia la crescente domanda internazionale per il Taleggio DOP, soprattutto nei mercati ad alta sensibilità gastronomica.

L’Europa si conferma il bacino principale, con 1.728.742 kg esportati, ovvero il 67,2% del totale export. I tre principali Paesi importatori sono:

  • Francia: 465.977 kg (+51 tonnellate)
  • Germania: 394.941 kg (+82 tonnellate)
  • Belgio: 217.200 kg (+29 tonnellate)

Anche i mercati extra-UE registrano un incremento significativo, con 845.143 kg esportati (+7,6%). Gli Stati Uniti si attestano come primo mercato di sbocco fuori dall’UE, con 362.524 kg, seguiti dal Regno Unito, che rimane saldamente al secondo posto con 159.945 kg.

Promozione e visibilità: il ruolo dei contributi pubblici

Un ruolo chiave nella crescita è stato giocato dalla capacità del Consorzio di accedere a fondi pubblici per la promozione internazionale, come spiegato ancora dal presidente Sangiovanni: «Abbiamo rafforzato la nostra presenza sui mercati esteri e migliorato l’appeal del prodotto presso un pubblico sempre più giovane e consapevole».

Questo ha permesso di investire in comunicazione, educazione alimentare, degustazioni e presenza fieristica, consolidando l’identità del Taleggio DOP come prodotto di alta qualità, autentico e profondamente legato al territorio.

Taleggio DOP: un simbolo del Made in Italy caseario

Il successo del Taleggio DOP si fonda su una tradizione secolare, su una filiera tracciata e controllata, e su un sistema consortile che unisce grandi caseifici e piccoli produttori, tutti orientati a mantenere standard di autenticità, gusto e sicurezza alimentare.

Il formaggio è tutelato a livello europeo come Denominazione d’Origine Protetta, e il suo processo produttivo – rigorosamente all’interno dell’area di origine – è regolamentato in ogni fase, dalla raccolta del latte alla stagionatura.

Assemblea annuale: focus su strategie e obiettivi futuri

I dati sull’export sono stati presentati durante l’assemblea annuale del Consorzio, svoltasi il 16 maggio 2025, momento fondamentale di condivisione tra gli associati per fare il punto sulle performance dell’anno e delineare le strategie per affrontare il futuro.

Nel mirino per il 2025 ci sono:

  • ulteriori investimenti in promozione estera
  • potenziamento del mercato nazionale
  • progetti di sostenibilità ambientale e packaging innovativi
  • presenza nei mercati digitali e nei canali horeca evoluti

Una proiezione internazionale sempre più consapevole

Il percorso intrapreso dal Consorzio Tutela Taleggio riflette una visione moderna e integrata del ruolo dei prodotti DOP. Non si tratta più solo di tutelare una denominazione, ma di costruire una cultura alimentare condivisa, dove qualità, sostenibilità e tracciabilità diventano leve decisive per conquistare nuovi mercati.

Scegliere Fairtrade è una scelta etica. E il mercato lo premia

Il marchio Fairtrade conquista i consumatori italiani con un modello economico più giusto e resiliente: +4% il Premio generato per i produttori, oltre 550 milioni di euro in vendite, fiducia in aumento e un ruolo strategico anche nella consulenza alle imprese

Un modello economico più giusto trova spazio nel mercato

In un mondo sempre più segnato da crisi ambientali e sociali, i consumatori italiani si mostrano sempre più attenti a ciò che acquistano. Il 2024 ha confermato questa tendenza con numeri in forte crescita per Fairtrade, il sistema di certificazione internazionale che garantisce filiere etiche, trasparenti e orientate ai diritti umani. È quanto emerge dal Bilancio Sociale 2024 di Fairtrade Italia, presentato all’evento «Coltivare il futuro: l’impatto di Fairtrade Italia».

Il dato più significativo? Il valore delle vendite di prodotti contenenti almeno un ingrediente certificato Fairtrade ha superato i 550 milioni di euro, generando 4 milioni di euro di Premio per i produttori dei Paesi in via di sviluppo. Un incremento del +4% rispetto al 2023, che rappresenta non solo un segnale positivo per il commercio etico, ma anche un indicatore chiave di resilienza e fiducia nel brand da parte delle aziende e dei consumatori italiani.

I prodotti Fairtrade più amati dagli italiani

Il 2024 ha registrato una crescita generalizzata delle principali filiere Fairtrade in Italia, con dati che fotografano la solidità del modello. Le banane restano il prodotto certificato più venduto, con oltre 14.000 tonnellate (+1,5%). Il cacaoha superato le 10.000 tonnellate, in aumento del 5%, mentre il caffè, nonostante un contesto globale difficile, ha registrato un +12,5%, tornando oltre le 800 tonnellate.

Anche lo zucchero di canna ha mostrato segnali di tenuta con un +0,5%. Le novità più interessanti arrivano però dal mondo del non food: il cotone Fairtrade cresce del +40%, mentre i fiori recisi fanno segnare un +28%. Numeri che confermano la diversificazione del portafoglio Fairtrade e la sua espansione in nuovi segmenti di mercato.

Oltre 300 aziende italiane impegnate per la sostenibilità

Aumentano anche gli operatori italiani coinvolti: sono oltre 300 le aziende che oggi importano, trasformano o distribuiscono prodotti certificati Fairtrade, segnando un +3% rispetto all’anno precedente. Crescono le referenze disponibili a scaffale, soprattutto nella GDO, a testimonianza del fatto che la sostenibilità non è più una nicchia, ma una leva di competitività anche nella grande distribuzione.

Consumatori più consapevoli: lo dice Nielsen

Un ruolo decisivo in questo cambiamento è svolto dai consumatori. Secondo la recente ricerca Nielsen commissionata da Fairtrade Italia, sei italiani su dieci si fidano dei prodotti etici, e oltre l’80% di chi riconosce il marchio Fairtrade ne apprezza il valore. Il livello di notorietà del brand è cresciuto di 8 punti dal 2021, confermando la centralità del marchioin un panorama di acquisto sempre più etico.

«Fairtrade è percepito come un marchio affidabile, moderno e adatto a tutte le generazioni – spiega lo studio –. I consumatori vogliono oggi prodotti più sani, tracciabili, e scelgono brand che contribuiscono a una giusta causa.»

Dalla certificazione alla consulenza strategica

Non solo marchio: Fairtrade evolve anche nel ruolo che svolge per le aziende. Accanto alla certificazione, l’organizzazione offre oggi un supporto consulenziale per aiutare le imprese ad affrontare le nuove sfide normative, come il Regolamento UE sulla Deforestazione (EUDR) e la Direttiva sulla Due Diligence (CSDDD).

«Non ci limitiamo a certificare – sottolinea Thomas Zulian, Direttore Commerciale di Fairtrade Italia – ma accompagniamo le imprese nella costruzione di strategie sostenibili e di lungo periodo, trasformando obblighi in vantaggi competitivi concreti

Un concetto rafforzato anche da Paolo Pastore, Direttore Generale: «Fairtrade è oggi un sistema che unisce rigore, trasparenza e impatto reale. Rafforzare le filiere significa tutelare i diritti umani e costruire un’economia capace di guardare al futuro.»

Il valore del Premio Fairtrade

Uno degli elementi distintivi del sistema Fairtrade è il Premio: una somma extra versata per ogni prodotto venduto che viene interamente destinata a progetti di sviluppo comunitario. Nel 2024 il Premio ha toccato 4 milioni di euro in Italia, contribuendo a migliorare la qualità della vita di milioni di persone in Asia, Africa e America Latina.

Le categorie più impattanti sono state:

  • Cacao: oltre 2 milioni di euro
  • Banane: 743 mila euro
  • Caffè: 332 mila euro

A livello globale, il Premio ha superato i 211 milioni di euro nel 2023, sostenendo iniziative in 75 Paesi, tra cui scuole, ambulatori, infrastrutture e progetti ambientali.

Un modello vincente per aziende, consumatori e pianeta

L’espansione del modello Fairtrade dimostra che la sostenibilità può generare valore reale per tutti gli attori della filiera: dal produttore locale in Ghana alla grande azienda alimentare italiana, fino allo scaffale del supermercato. È un sistema che crea fiducia, risponde alle normative europee, e soprattutto genera impatto positivo misurabile.

La trasparenza delle filiere, la resilienza delle comunità agricole e l’attenzione alla compliance normativa fanno di Fairtrade un partner sempre più strategico per le imprese che vogliono essere protagoniste della transizione sostenibile.

«Non è solo questione di prezzi giusti, ma di responsabilità condivisa» – conclude Paolo Pastore – «Fairtrade lavora ogni giorno al fianco delle aziende italiane, offrendo strumenti concreti per affrontare le sfide ambientali e sociali globali.»


Approfondisci

Per scoprire come nasce un prodotto Fairtrade e cosa significa davvero acquistarne uno, puoi consultare il sito ufficiale:

👉 www.fairtrade.it

Tutti vogliono il biologico, ma pochi sanno cos’è davvero: Carrefour svela l’Italia disinformata sul bio

Solo l’11,6% degli italiani sa davvero cosa significa “biologico”: l’indagine Carrefour-Human Highway smaschera falsi miti e sfide culturali, con focus sulle nuove generazioni.

Biologico: più diffuso, meno compreso

Il termine biologico è diventato sinonimo di scelte salutari, sostenibili e consapevoli, ma quanto ne sanno davvero gli italiani? A porsi questa domanda è Carrefour Italia, che in collaborazione con Human Highway ha condotto una ricerca nazionale lanciata in occasione della Festa del Bio.

I risultati sono sorprendenti: solo l’11,6% degli italiani è in grado di definire correttamente cosa rende un prodotto realmente biologico, nonostante oltre la metà del campione (57,5%) dichiari di acquistare alimenti bio almeno due o tre volte al mese.

Un’Italia spaccata tra convinzioni errate e zona grigia informativa

Tra i dati emersi, colpisce il livello di confusione diffuso:

  • Il 30,9% si ritiene moderatamente informato ma confuso,
  • Il 33% ammette una forte incertezza,
  • Il 24,5% dichiara di non sapere nulla sul biologico.

Le fake news più diffuse riguardano l’impiego di sostanze nelle coltivazioni: l’80% crede che il biologico non preveda alcun tipo di pesticida o fertilizzante, ignorando che la normativa consente solo l’uso di sostanze naturali autorizzate.

In ambito zootecnico, quasi 8 italiani su 10 pensano erroneamente che gli animali bio non possano essere curati con farmaci, neanche in caso di necessità.

Generazione Z: la più esposta alla disinformazione

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i più giovani – in particolare la Gen Z – risultano i meno informati. A pesare è una comunicazione poco chiara e la tendenza ad associare il bio ad altri concetti:

  • 1 su 4 lo confonde con il chilometro zero
  • 1 su 5 lo lega esclusivamente a piccole aziende agricole
  • Il 50% crede che un alimento bio sia automaticamente più ricco di vitamine e nutrienti

Cosa guida gli acquisti? Etichetta, eurofoglia e prezzo

Nonostante la disinformazione, l’interesse verso il biologico resta alto. Un italiano su quattro sa identificare correttamente i prodotti biologici e li sceglie in modo consapevole. I principali driver di acquisto sono:

  • la scritta “Bio” sull’etichetta (60%)
  • il logo europeo con la eurofoglia (28,7%)
  • le sigle degli enti certificatori (27,3%)

In cima alla lista dei preferiti ci sono frutta e verdura fresche (63%), uova (56%) e latticini (45%). Tuttavia, il prezzo elevato rappresenta ancora un ostacolo: 7 italiani su 10 affermano di non acquistare bio proprio per una percezione di costo troppo alto.

Carrefour: rendere il bio accessibile è una priorità

È su questo fronte che Carrefour Italia ha deciso di agire concretamente attraverso il programma Act for Food, che promuove una filiera alimentare più sostenibile, equa e locale.

Come spiega Alessandra Grendele, Direttrice Merci, Marketing ed E-commerce di Carrefour Italia:

«Abbiamo voluto indagare a fondo le percezioni degli italiani sul biologico per capire quanto le scelte d’acquisto siano realmente consapevoli. Con questa ricerca vogliamo contribuire a promuovere una cultura del cibo più informata e accessibile: è da qui che parte la nostra visione di transizione alimentare per tutti».

Tra le azioni concrete, Carrefour offre oltre 50 referenze a marchio Carrefour Bio a meno di 1 euro, dimostrando che qualità, sostenibilità e convenienza possono coesistere.

Il valore del biologico, oltre il marketing

Un prodotto può essere definito biologico solo se rispetta i criteri del Regolamento UE 2018/848: agricoltura o allevamento certificati, niente fertilizzanti chimici di sintesi, benessere animale garantito e tracciabilità completa lungo la filiera. La presenza del logo con la “eurofoglia” su sfondo verde è l’unica garanzia di certificazione.

Il cammino verso un consumo consapevole passa dalla chiarezza informativa. E Carrefour sceglie di giocare un ruolo da protagonista in questa trasformazione, non solo commerciale, ma culturale e sociale.

Milanesi Gelaterie Artigianali, arrivano gelati cocktail da mangiare

Si chiama Ice vibes, ed è una serata con DJ set aperta al pubblico dedicata alla scoperta dei nuovi gelati cocktail organizzata da Milanesi Gelaterie Artigianali per il 29 maggio dalle 18,30 in via Cadore 45, in zona Porta Romana (metro MM3).

Ice vibes è anche il nome di questa nuova linea estiva composta da 4 varietà: Ginchill, Gelacolada, Caipifredda e Gelaquiri, gelati i cui nomi prendono ispirazione dai rispettivi iconici cocktail Gin tonic, Piña colada, Caipiroska e Daiquiri, pensati per rinfrescare le serate milanesi.

Il cuore della preparazione è a base di gelato, il gusto scelto definisce il sapore e il colore, mentre gli ingredienti alcolici vengono mixati e calibrati per un mangia e bevi  fresco e gustoso che diventa un’ottima alternativa golosa al classico drink da bar.

I primi 50 che si presenteranno in gelateria il 29 maggio avranno la possibilità di gustare gratuitamente un cocktail gelato a loro scelta. Per tutti gli altri, sarà possibile assaggiarli a un costo speciale di 3,00 euro. I cocktail gelato, dal giorno successivo all’evento, saranno disponibili anche nella formula “vengo con te”: possono essere acquistati d’asporto per essere gustati a casa, propria o di amici, per condividere un gustoso dessert alcolico.

Porcobrado, il sapore della Toscana in un panino

Porcobrado, carne di maiale protagonista

I nostri maiali i vivono allo stato brado, da qui il nome. L’ unica cosa che non viene fatta in azienda è la macellazione – spiega Pasquale Nastri, responsabile di Porcobrado in via Jacopo dal Verme 17 a Milano – Dopo essere stata cotta al barbecue o al forno, passata in salamoia e quindi affumicata con legno di ciliegio per un totale di 100 ore, la carne arriva a Milano dove deve essere solo rigenerata” Partito otto anni fa con un food truck, oggi Porcobrado è un avviato locale nel quartiere Isola frequentato da persone alla ricerca di una pausa veloce, di qualità e a prezzi contenuti. Un locale di 60 coperti circa (tra la sala e il dehors esterno) difficile però da definire. Ne hamburgheria ne paninoteca, è sicuramente un tributo alla carne di maiale.

Ambiente minimal, sapori toscani in evidenza

Quando Angelo Polezzi ha convertito l’allevamento nella produzione di cinta senese e maiale nero che portava in giro con il food truck, ha elevato la carne di maiale a un livello superiore – prosegue Pasquale Nastri – Il locale nasce invece dall’incrocio delle nostre volontà, quella di Angelo di ampliare l’offerta e la mia di aprire un ristorante” L’ambiente è minimal e post moderno, la saletta è dominata dalla bella insegna posta in alto. Pronti e via, si parte con un tagliere di affettati toscani, dal prosciutto crudo alla finocchiona, accompagnate da patatine rigorosamente non fritte. Un entreè godurioso che prepara il palato ad un viaggio alla scoperta dei sapori toscani.

Maiale-tartufo, accoppiata vincente

Il panino base è pane e spalla di maiale, ma la lista comprende quelli con le salse a base funghi e pomodori, la salsa all’aglione della Val di Chiana, quella a base peperoni e la classicissima cipolla caramellata. “E’ la più venduta – sottolinea il responsabile – ma riscuotono tanto successo anche quelli con salse speciali come la salsa barbecue al whisky, la salsa alla birra e quella al quella al quacamole per coloro che vogliono una salsa più fresca. E siccome maiale e tartufo si accompagnano molto bene, in lista si trovano panini con salsa al tartufo e porcini piuttosto che tartufo e pomodori. Ma il merito è della carne e del pane che utilizziamo

Carne naturale, nessun prodotto chimico

Il procedimento che porta al prodotto finito dura più di 100 ore, la carne è 100% naturale e genuina senza l’uso di alcun prodotto chimico. Il risultato è una carne abbastanza magra. “Partendo da una leggera e profumata affumicatura con legno di melo e ciliegio, riposa alcuni giorni nella marinatura con la nostra ricetta di spezie. La cottura finale avviene esclusivamente con legna di quercia di Cortona nello speciale barbecue da noi realizzato. Ciò permette di cuocere la carne a bassa temperatura bagnandola con il proprio grasso fondente

Anche il pane parla toscano

A fare la sua parte anche il pane impiegato per fare i panini. Ottenuto da una miscela di farine 100% toscane impastate con lievito madre e farina di grano Verna, antico grano aretino macinato rigorosamente a pietra e a basso contenuto glutinico. “Siamo partiti da una michetta toscana fino ad arrivare ad una forma tonda. Il basso contenuto glutinico del grano verna e la lenta lievitazione ci permettono di dare un pane digeribile, con l’aggiunta di 15% di farine integrali gli abbiamo donato anche un poco di croccantezza” Tutto insomma parla toscano, compreso i vini (per la verità un paio di Chianti e un Morellino di Scansano) e un paio di birre artigianali. “Perché – conclude Pasquale Nastri – Porcobrado è il sapore della Toscana racchiuso in un panino

Mannarino, convivialità in macelleria

Mannarino, dal banco alla tavola

Quando la carne diventa protagonista di una esperienza, Mannarino è molto più di una macelleria. Certo, entrando quello che si nota subito è il bellissimo e nutritissimo banco ma se si sposta lo sguardo appena un poco si intravede la annessa area ristorante. Non un ristorante qualsiasi, ma un ambiente caldo ed accogliente nel quale il commensale può esplorare la cucina del Sud Italia attraverso un menù che lui stesso può creare. Nessun menù prestampato, è il commensale stesso a scegliere, direttamente al banco, i tagli di carne che poi gli serviranno in tavola. Accompagnati da antipasti e contorni, sempre del Sud Italia, e, per gradire, un apprezzabile calice di Primitivo della casa.

Convivialità condivisa

Scelto, tagliato, grigliato è il nostro claim – precisa Mirko Lettieri, Store Manager del punto di Via Tenca 12 a Milano – Da noi non vengono solo gli amanti della carne ma anche vegetariani che vogliono esplorare questo mondo. Tutti accomunati dal piacere di entrare in un ambiente nel quale vengono accolti sin dall’entrata e accompagnati in ogni momento della loro presenza. Un ambiente dove la convivialità regna sovrana” Convivialità peraltro condivisa anche dagli amici a quattro zampe. “Da noi i cani sono ben accetti (con loro grande soddisfazione, come potete immaginare), per rendere a loro piacevole la sosta a Il Mannarino abbiamo predisposto una box contenente qualche pezzo di carne

Macellaio di fiducia, figura riscoperta

Nato da una idea di Gianmarco Venuto e Filippo Sironi, i soci proprietari, Il Mannarino è un tributo all’idea della bottega artigiana di un tempo. A cominciare dal nome. “Mannarino è il coltello di cucina usato un tempo dai macellai, quando questi erano un vero e proprio punto di riferimento per i clienti. Persone di fiducia con le quali poter scambiare anche due chiacchiere. E’ il rapporto che abbiamo voluto ricreare da Il Mannarino, l’atmosfera che si respira è un valore aggiunto” Senza togliere che il Mannarino rimane una macelleria a tutti gli effetti. “Da noi si può entrare anche semplicemente per compare la carne e portarsela a casa, la nostra attenzione non cambia

Non solo bombette

Oltre ai grandi classici come costate e fiorentine, filetto e controfiletto, Il Mannarino propone T-bone e tomahawk, arrosticini abruzzesi, zampine (classiche salsicce pugliesi), alette di pollo piemontese panate. Oltre alle polpette della nonna, cotte tutta la notte nel sugo e servite come antipasto. Tutti completati da verdure grigliate, cime di rapa, caponata e patate novelle. Immancabili, le iconiche bombette pugliesi preparate a mano ogni giorno e cotte al forno che di Il Mannarino hanno fatto la storia. “Ci identificano, le serviamo nella versione classica con capocollo di maiale e formaggio canestrato piuttosto che con pancetta affumicata, filetto di maiale e senape. Oppure con capocollo di maiale, provolone, mortadella con pistacchio e panatura al carbone vegetale. Ma non siamo solo questo

Produttore di se stesso

Ma non si fermano qui, negli anni l’offerta di Il Mannarino si è ampliata. Soprattutto negli ultimi tre. “Abbiamo introdotto la bombetta di manzo e quella messinese. Il tomawak, per esempio, lo abbiamo introdotto un anno fa. Da quando cioè abbiamo la filiera controllata, le nostre carni di fassona ed angus provengono da due allevamenti piemontesi che seguiamo direttamente fino a lavorare le carni nel nostro laboratorio di Monza, il Manna Lab. Il Mannarino – conclude Mirko Lettieri – è diventato produttore di se stesso