Cantine Colosi, viticoltura eroica

Cantine Colosi, tutto parte da Salina

Il primo a commercializzare il vino è il bisnonno, con il suo carretto porta in giro il vino acquistato dai vignaioli locali. Ma ad avviare una vera e propria produzione sono il nonno Pietro ed il papà Piero, entrambi originari di un paesino sopra Milazzo. Con alcuni studi enologici alle spalle, gettano le basi dell’azienda. “La zona di Messina era poco vocata alla produzione di vino – racconta Pietro Colosi, attuale titolare di Cantine Colosi insieme alla sorella Marianna – Così mio nonno comincia ad interfacciarsi con i contadini dell’Isola di Salina e scopre una intensa produzione di Malvasia delle Lipari.” Da qui, l’acquisto dei primi terreni nell’isola eoliana verso la fine degli anni ‘70.

La prima vendemmia nel 1983

Dopo essersi dedicato per un anno alla coltivazione della Malvasia, il nonno inizia a coltivare Inzolia, Cataratto, Nerello Mescalese e Nerello Cappuccio. Una ricerca continua, anche di terreni coltivabili, che negli anni ha portato, grazie anche agli investimenti di papà Piero, ad avere nell’Isola di Salina circa 13 ettari vitati ed una produzione intorno alle 500.000 bottiglie annue. “La prima vendemmia ricorda il titolare di Cantine Colosi – è del 1983, il risultato è stata una Malvasia declinata in due versioni. Una classica, surmaturata in pianta, l’altra passita, prodotta con appassimento dell’uva sui cannizzi per circa venti giorni perché perdesse il 30-40% del peso” Presentate due anni dopo al Vinitaly, negli anni sono diventate un punto fermo della produzione dell’azienda siciliana.

Secca del Capo, un successo che compie dieci anni

Secca del Capo, del quale festeggiamo i dieci anni di produzione, è il primo vino prodotto in collaborazione con mio papà. Si tratta di una Malvasia secca vinificata a Capofaro, dove abbiamo tuttora la cantina che si trova sotto il Monte delle Felci” Un terreno molto vocato alla coltivazione della Malvasia, la raccolta delle uve viene infatti anticipata all’ultima settimana di agosto. “Ciò ci permette di avere ancora una buona componente acitica, particolare che invece va a scemare con l’avanzare della maturazione. Partiamo quindi con la macerazione a freddo, poi inoculiamo lieviti che sviluppano note varietali capaci di risaltare i profumi dell’uva” Fermentazione a secco con gli zuccheri del mosto completamente consumati, travaso e successivamente passaggio in acciaio dove il vino affina per qualche mese. “Imbottigliato a fine febbraio-inizio marzo, sosta in azienda una settimana prima di essere etichettato e disposto orizzontalmente nel cartone”

Anche in versione passita

Nel caso della Malvasia Passita, la fermentazione dura invece 15-20 giorni con il lievito che lavora piano piano in quanto il silos è collegato ad un frigorifero con temperature e velocità di lavorazione preimpostate. L’uva viene raccolta quinci giorni prima rispetto a quella destinata alla Malvasia Naturale, ma viene fatta asciugare per un tempo più lungo.“Quando decidiamo che il livello zuccherino è arrivato al punto giusto, la temperatura viene portata a zero gradi così che il lievito smetta di lavorare e rimanga sul fondo. E il vino rimanga dolce. Facciamo quindi un travaso per eliminare lo sporco, al quale segue affinamento per un anno in acciaio. Al contrario della Malvasia Secca, per la quale il lievito viene mantenuto ad una temperatura più alta di 17-18° e la fermentazione continua fino a quando tutti gli zuccheri presenti sono consumati ed il prodotto va a secco”

Alla base della qualità, la scarsità

Rispettosa dell’ecosistema circostante, Cantina Colosi possiede una cantina di vinificazione immersa nei vigneti e parzialmente interrata come previsto dalle rigide normative dell’arcipelago eoliano. L’impianto del vigneto è realizzato a terrazze con i tipici muretti a secco, costituito da piccoli appezzamenti con filari disposti su terreni scoscesi e allevamenti a controspalliera con potatura guyot singolo. “Si lascia lo sperone per l’anno successivo con capofrutto che va in produzione per l’anno corrente – spiega Pietro Colosi – L’anno successivo, quando si fa la potatura invernale, il capofrutto che ha prodotto nella vendemmia precedente viene tagliato e lasciato a sperone. Mentre lo sperone precedente viene fatto crescere a capofrutto, lasciando tre gemme per andare a sviluppare i grappoli e non avere eccessiva vigoria. Essendo un territorio dove la resa non supera mai i 70 quintali per ettaro, per ogni ettaro mettiamo al massimo 7mila piante”

Un terreno difficile, inerbimento e sovescio le soluzioni

La difficile morfologia del terreno impone che le operazioni in vigna siano condotte esclusivamente a mano, impossibile effettuare irrigazione nel vigneto. “Le alte temperature e la conseguente siccità bloccano la maturazione delle uve, mantenendo piccoli gli acini e causando una bassa resa produttiva. Non potendo dare acqua alle piante (l’acqua che arriva a Salina attraverso le “navi dell’acqua” è riservata alla popolazione, in quanto clorata è inutilizzabile per l’agricoltura), utilizziamo alcune tecniche che ne impediscono la disidratazione. Attraverso l’inerbimento dell’intefilare, lasciamo crescere l’erba in altezza per poi trinciarla e creare un cotico erboso. Evitiamo così il surriscaldamento dello stesso e l’evaporazione dell’acqua dal sottosuolo. L’acqua viene recuperata attraverso il sovescio con le graminacee che, avendo radici fittonanti, aiutano il terreno a meglio assorbire l’acqua”

Monte Porri e Monte delle Felci, interferimento positivo

In compenso il terreno vulcanico è garanzia di mineralità. L’isola, la più lussureggiante dell’arcipelago eoliano, usufruisce infatti della presenza di ben due vulcani, entrambi spenti. Il Monte delle Felci, così detto perché l’antico cratere ospita un bosco di felci, e il Monte Porri, patrimonio dell’Unesco. “Il fatto che i due vulcani siano spenti da tempi diversi, fa sì che il terreno cambi notevolmente tra una pendice e l’altra. Monte delle Felci è un terreno molto ricco di sostanze organiche ed ossidi di ferro, molto indicato per coltivare la Malvasia. Monte Porri è invece un terreno più calcareo e sabbioso, indicato a coltivare le altre varietà” I venti che soffiano spesso sull’isola portano inoltre sui vigneti piccole percentuali di acqua marina che si depositano sulla buccia degli acini. “Interferiscono positivamente sul profilo gustativo del vino, donando una piacevole salinità”

Salina Bianco, vino estivo per eccellenza

Tra i vini prodotti, il Salina Bianco. Un vino molto fresco, indicato per la stagione estiva. L’uva viene raccolta alla mattina presto, raffreddata attraverso uno scambiatore, poi pigiata e introdotta all’interno di un silos a temperatura controllata di 14°-15°. La fermentazione dura venticinque giorni, una volta finita viene fatto un solo travaso. A seguire, il batonnage e il riposo sui lieviti. Viene quindi abbassata la temperatura a zero gradi per eliminare le particelle di sporco, filtrato nuovamente ed imbottigliato per circa 6 mesi. “E’ un vino da bersi giovane, abbinabile ad una tartare di cernia condita con olio, sale e un pizzico di pepe rosa. Magari sotto una tettoia, coccolati dalla brezza marina’’

Salina Rosso, blend senza tempo

Tra i rossi, spicca invece il Salina Rosso. Un blend di Nerello Mescalese e Nerello Cappuccio prodotto da Cantine Colosi dal 1985. “Raccogliamo e vinifichiamo insieme le uve, che non vengono raffreddate ma lavorate a temperatura ambiente. Quindi le mettiamo nel silos per farle fare una classica vinificazione in rosso” Dopo la macerazione sulle bucce, parte la fermentazione alcolica per circa otto giorni a 20° con tre rimontaggi al giorno per evitare che il cappello delle bucce, spinto in alto dalla anidride carbonica, si secchi impedendo l’estrazione del colore. “Facciamo anche il deleistage, per ossigenare il vino che sta fermentando ed evitare così note di riduzione”. Eseguita la fermentazione alcolica ed effettuato il travaso per togliere lo sporco, parte la fermentazione malolattica. Al termine della quale, si travasa il vino in botte grande dove rimane sei mesi, poi filtrato e portato in imbottigliamento.

Guardiano del Faro, la scommessa

Un vino nato quasi per caso è invece il Guardiano del Faro. “E’ stato una scommessa, avevamo in produzione un vigneto che ci dava ogni anno uva spettacolare della varietà del Nerello Mescalese. Abbiamo così deciso di vinificare a parte” L’uva, prima dell’inoculo dei lieviti, viene raffreddata ancora di più, la macerazione è a freddo e poi a cappello sommerso. Quando il cappello non ha più anidride carbonica che lo mantiene, si continua la macerazione per una settimana. Affinato per un anno in barriques da 225 lt., 60% delle quali sono francesi mentre le restanti sono americane. “E’ un vino più strutturato rispetto al Salina Rosso, perfetto da abbinare ad un pesce stocco in ghiotta, un piatto tipico delle nostre zone

Dal 2020 ufficialmente biologici, mai usato fitofarmaci

Nel 2020 Cantine Colosi ha completato il processo di riconversione al biologico di tutti i vigneti. Mediamente i vini sono esportati per il 60% della loro produzione, con gli Stati Uniti mercato di riferimento nonostante la recente politica dei dazi da questi applicata. Fanno eccezione i vini di Salina, che vengono distribuiti metà nelle Isole Eolie e metà nel restante territorio nazionale. Presente sul mercato da 40 anni, nonostante i numeri non trascurabili, Cantine Colosi rimane fedele a pratiche tradizionali. “Da sempre biologici, non abbiamo mai usato fitofarmaci già in tempi non sospetti. Per questo – conclude Pietro Colosi lavoriamo ancora con la classica busta di zolfo e rame in polvere per poter limitare al massimo le infezioni

Lascia un commento