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QocktailExperience by Qualunquemente, non il solito locale da compagnia

QocktailExperience by Qualunquemente, prima di un cocktail viene servita una tecnica

Due vetrine, una cinquantina di posti tra quelli interni e i tavolini posti sul marciapiede della centralissima Via Bergamo di Monza. Alla saletta d’ingresso dominata dal bancone, seguono nel retro due salette molto intime con divanetti e qualche pianta. La clientela è trasversale, si passa dai 20 ai 60 anni. Viceversa, l’imprinting del locale è molto chiaro e definito. Niente vino ne birra, neanche bibite ed amari. Quanto piuttosto il desiderio di fare vivere una esperienza, prima dei cocktail viene di fatto servita una tecnica. Ne parliamo con Riccardo Zakian, titolare di QocktailExperience by Qualunquemente.

Dai chupito alla tecnica molecolare, la metamorfosi

Inizialmente siamo partiti come chupito bar – racconta il titolare di QocktailExperience by Qualunquemente – Frutto del mio girovagare per locali in compagnia degli amici per bere cicchetti di chupito. Però mi sono presto reso conto che per stupire i clienti non dovevo sfruttare soltanto il gusto, dovevo sfruttare anche l’olfatto” Da qui è nata l’idea di utilizzare la tecnica molecolare, attraverso l’utilizzo di anidride carbonica allo stato solido. “Il timore era che potessi confondere la clientela, avrebbe potuto pensare che volevo proporre una cosa troppo seriosa. Ma quando abbiamo fatto un catering da 300 posti per il ristorante bistellato di Chef Marco Sacco, preparando 300 cocktail solidi tra tartare di Negroni in gelatina e budini di pinacolada al cioccolato, ho fatto la svolta. Da Chupito Qualunquemente siamo diventati QocktailExperience by Qualunquemente

Il Campari Shackerato ad aprire la strada

La cucina molecolare è tecnica inventata da Adrain Ferran. Basata sulla sferificazione, ovvero la creazione di sfere attraverso il passaggio da uno stato liquido ad uno semi solido. Ne è esempio una delle prime proposte di QocktailExperience by Qualunquemente, il Campari Shackerato abbinato con un caviale molecolare di Campari. “Prepariamo un caviale di Bitter Campari utilizzando il calcio e l’alginato di sodio estratto da una alga marina. Il concetto è quello della colla di pesce, ma in questo caso il vantaggio è la gelificazione dell’alginato appena tocca il bagno di calcio, tanto maggiore quanto più rimane in immersione. Si viene quindi a creare una pellicola, da sciacquare sotto l’acqua per eliminare la sapidità del calcio. La lavorazione a freddo permette poi di non perdere la componente alcolica. Il risultato finale sono piccole sfere che sotto i denti scoppiano

Profumo di Spiaggia, la tecnica al servizio del cliente

Da sottolineare, il fatto che principio cardine della proposta di QocktailExperience by Qualunquemente non è tanto la creazione di classici rivisitati quanto l’utilizzo di una tecnica per dare forma alle richieste dei clienti. “Sono partito dalla convinzione che il barman non deve stare davanti al cliente, ma farsi interprete delle richieste dello stesso. La tecnica deve essere al servizio del cliente” Così, quando un cliente ha chiesto un cocktail instagrammabile, è nato Profumo di Spiaggia. “Viene realizzato con un olio essenziale molto particolare utilizzato nella preparazione di creme per il corpo ed una citronella un poco agrumata. Da questo mix deriva lo stesso odore delle creme solari che avverti camminando su una spiaggia”

Atomic Green e Negroni Fumè, per non trascurare i classici

Nella drink list di QocktailExperience by Qualunquemente non mancano comunque cocktail che ne rappresentano la proposta base. Tra questi, il Negroni Fumè. Un Negroni affumicato in legno di faggio. Ma in lista si trova anche l’Atomic Green, variante del Long Island. “Al posto del triple sec utilizziamo un liquore giapponese al melone chiamato Midori che prepariamo anche come caviale molecolare da abbinare al cocktail” Oppure Ted, un cocktail molto dolce a base di frutta esotica adatto ai più giovani. “In questo caso il caviale molecolare è a base di Blue Curacao, un liquore all’arancia amara che ha fatto la fortuna dell’Angelo Azzurro. Abbinati al drink, vengono serviti orsetti gommosi”

La Mela Avvelenata, anche la frutta fa la sua parte

La frutta è comunque un ingrediente che ritorna, come dimostra La Mela avvelenata. “Con la polpa di una mela creiamo una sorta di budino nel quale iniettiamo il daiquiri reso solido con la gomma di xantano. Un addensante vegetale che non necessita di andare in temperatura per gelificare come invece succede nel caso della colla di pesce. Aggiungiamo poi rhum, frutta secca e lime, quest’ultimo per contrastare l’acidità e bilanciare i sapori. Una volta fuori dal frigo, otteniamo un cremoso con la leggerezza di una mousse” In lista anche il Rhum e Pera 2.0, riproposizione di un classico chupito. “In passato si affiancava al chupito di rhum un bicchierino di succo di pera, noi sostituiamo quest’ultimo con una fetta di arancia caramellata con zucchero di canna. Poi sporcato di cannella o cioccolato”

La Trasfusione del Conte Negroni, quando una festa diventa uno spunto

Non mancano poi le proposte spiritose, perché a Riccardo Zakian, tutto sommato, con i cocktail piace anche un po’ giocare. Per non essere, come si diceva prima, troppo serioso. Ecco allora che in una ricorrenza come Hallowen, dalla sua creatività e fantasia, è scaturita La Trasfusione del Conte Negroni, con il cocktail contenuto in una sacca da trasfusione. Oppure il Patto di Sangue. “Il cocktail è servito in un guanto, si pensa alla persona alla quale rivolgere il sortilegio e si pugnala il guanto al centro. Quando la pozione a contatto del bicchiere comincia a fumare, è segno che la magia è avvenuta” Sempre frutto della sua voglia di scherzare, il gin preparato con carbone vegetale che lo rende nero. Come nero è il colore degli abiti delle streghe. Ma la vera esperienza da QocktailExperience by Qualunquemente è un’altra.

Fiore Elettrico, la vera esperienza

Parliamo infatti del Fiore Elettrico, un potente anestetico e analgesico naturale. Impiegato dagli indigeni per curare mal di denti e il mal di stomaco o per preparare il curaro. “Pianta commestibile, con il suo estratto si producono gli antirughe. Quando lo si mastica, si avverte un forte senso di freschezza e frizzantezza seguito da un aumento della salivazione che pulisce le papille gustative. Scemata la frizzantezza, si passa alla degustazione” In lista, troviamo anche il BlueThai GinTonic. Un gin tonic il cui ingrediente base è il Fiore dal Pisello Blu, fiore thailandese che cambia colore al cambiare del ph. “In questo caso da blu passa a fucsia” Insomma, per dirla con le parole dello stesso Riccardo Zakian, “QocktailExperience by Qualunquemente non è il solito locale da compagnia”

La Regina dei Sentieri, la Maremma del vino tra imprenditoria e nobiltà

La Regina dei Sentieri, Maremma toscana scenario di un giallo

Molto di più di una rassegna letteraria, Montagna di Libri è momento di incontro tra autori, giornalisti, intellettuali ed artisti provenienti da tutto il mondo. Il format creato da Francesco Chimulera ha saputo costruire, edizione dopo edizione, un dialogo profondo tra letteratura, attualità e memoria, offrendo al pubblico incontri che celebrano il libro come strumento di confronto e di scoperta. Quest’anno, nel calendario dellaedizione estiva 2025 che come sempre si tiene a Cortina d’Ampezzo, spicca un appuntamento imperdibile per gli amanti del vino. Venerdì 1° Agosto gli scrittori Samantha Bruzzone e Marco Malavaldi presentano il loro ultimo libro “La Regina dei Sentieri”. Un giallo ambientato nel mondo del vino, sullo sfondo della Maremma toscana.

Quando la passione per il vino si mescola a invidie e crudeltà

La scelta di Una Montagna di Libri di aprirsi al mondo del vino non è casuale, nasce dalla consapevolezza che il vino è molto più di una bevanda. È memoria del territorio ed espressione di una identità che affonda le sue radici nel tempo. Un riconoscimento al valore del lavoro artigianale e della cura della terra. Perché il vino, come la letteratura, racconta storie e restituisce emozioni. In questo ambito, Regina dei Sentieri si inserisce in un percorso di approfondimento dei cambiamenti che hanno attraversato il mondo del vino negli ultimi trent’anni. “Si tratta di un giallo – spiega Marco Malavaldi – Il ritrovamento del cadavere di un vinattiere dalle nobili origini nel lago di una tenuta nelle campagne di Bolgheri, di proprietà dei suoi più acerrimi concorrenti (un fondo che nella tenuta ha investito), ci ha dato la possibilità di esplorare le dinamiche di un territorio che negli ultimi decenni è profondamente cambiato. E fare emergere come la passione per il vino si possa mescolare anche a invidie e crudeltà

Aziende vitivinicole, specchio del cambiamento di un territorio

Le aziende vitivinicole e la loro evoluzione sono quindi lo specchio di queste dinamiche e di questi cambiamenti, messe in evidenza attraverso le trasformazioni di un territorio un tempo depresso. “Fino a pochi decenni fa, la Maremma toscana era solo un insieme di sentieri (da qui il titolo del libro) che collegavano cantine dall’aspetto brullo e poco stimolante. Oggi, questo stesso territorio è un brulicare di tenute progettate e ristrutturate da architetti di fama e meta di celebrità dello spettacolo, come si volesse fare riflettere il bello sul buono. Con il vino divenuto portavoce del territorio” A dare la svolta, l’arrivo dell’autostrada. “Prima del suo arrivo, raggiungere la Maremma significava fare il viaggio della speranza. Con il suo arrivo si è cominciato ad investire su un territorio dove prima non si raccoglieva nemmeno quanto si coltivava, perché non conveniva”

Da luoghi di produzione a meta di celebrità

Le cantine, da semplici luoghi di produzione, sono diventate tutto d’un tratto luogo di attrattiva, meritevoli di essere conosciute e visitate. Ma ecco il rovescio della medaglia. “Le nuove possibilità hanno favorito una spinta allo sfruttamento intensivo, per non dire selvaggio, di ogni unità abitativa. Trasformata, dalla sera alla mattina, in struttura ricettiva o posti di ristorazione da parte di persone spesso improvvisate. E che gioco forza sono durate il periodo di una stagione, schiacciate da una selezione a dir poco darwiniana. Perché la Maremma ti restituisce quello che gli dai”

Maremma tra imprenditoria e nobiltà, Castello del Terriccio l’esempio

I cambiamenti di ultimi trent’anni hanno peraltro evidenziato un confronto tra imprenditoria e nobiltà. Con i fondi di investimento che rilevano le cantine da un lato, le antiche casate che producono vino sin dal Duecento dall’altro. Due modi diversi di fare vino e di concepire gli affari, che inevitabilmente ha creato competizione. Ma anche sviluppo e miglioramento. “Castello del Terriccio- sottolinea l’autore di La Regina dei Sentieri – è uno degli esempi della parte nobile, al contempo esempio di visione imprenditoriale” Una storia che parte da lontano, Castello del Terriccio è azienda che ci riporta indietro nel tempo. A quando, tra il Duecento e il Trecento, il Vescovo di Pisa (nipote di Papa Bonifacio VIII) concesse in enfiteusi la Tenuta ai Conti Gaetani, rimasti proprietari fino alla fine del Settecento.

Una tenuta sterminata, all’interno anche un antico borgo

Negli anni ’70 la vera svolta, con la rifondazione della tenuta da parte dello zio dell’attuale proprietario. Arroccata su una collina dalla quale si vede il mare, la tenuta è dominata dalle vestigia del castello la cui torre, nei secoli scorsi, faceva da punto di avvistamento per proteggere la popolazione circostante dagli attacchi dei pirati saraceni. All’interno, un piccolo borgo al quale si accede dopo aver percorso un viale alberato di quattro chilometri. “Un tempo – spiega l’attuale proprietario Vittorio Piozzo di Rosignano – era un paesino autosufficiente, con la sua scuola, il circolo ricreativo, la fornace, il mulino, il forno, la scuderia e la falegnameria. Fino alla fine degli anni ’70 ha garantito la sopravvivenza di decine di famiglie di mezzadri” Oggi la falegnameria è un moderno punto vendita, dalla antica scuderia è stata ricavata una guest house. Annesso al modernissimo ristorante, lo spazio degustazione aperto sulla terrazza panoramica con vista sui vigneti.

Letteratura e memoria storica, interesse mai sopito

Alla capacità imprenditoriale di trasformare gli spazi un tempo utilizzati dai mezzadri in moderne strutture ricettive e turistico-alberghiere, Vittorio Piozzo affianca anche un mai sopito interesse verso storia e letteratura. “Mio zio era un amante del romanzo storico, tutti gli anni organizzava a Castello del Terriccio un evento ad esso dedicato. Dopo la sua scomparsa, questa attenzione era un poco scemata. Montagna di Libri ci ha dato la possibilità di rinverdirla” Dall’anno scorso partner di Montagna di Libri, quest’anno Castello del Terriccio parteciperà alla presentazione di La Regina dei Sentieri.

Lupicaia, piccola scommessa vinta

In questo contesto, la presenza di Castello del Terriccio assume un significato emblematico. I suoi vini portano con sé il carattere della Maremma toscana e un senso del tempo assolutamente in linea con il format della manifestazione. Tra questi, Lupicaia è uno dei più rappresentativi. Nato nei primi ’90 da un vigneto circondato da filari di eucalipto, composto per il 40% da Cabernet Sauvignon e per il 60% da Petit Verdot, viene affinato in tonneaux per 22 mesi circa. “Nelle prime annate era presente una piccola percentuale di Merlot, da quindici anni lo abbiamo sostituito con il Petit Verdot. Il risultato – conclude Vittorio Piozzo – è un vino elegante e di grande struttura, dai sentori di cuoio e di caffè. Una piccola scommessa vinta”

Speciale Osteria, atmosfera anni 80

Speciale Osteria, tutto parla degli anni 80

Un team molto giovane, dai quattro soci alla brigata di sala e cucina. A dispetto dell’età, un amore condiviso per una decade conosciuta solo attraverso i racconti di genitori e i pranzi domenicali con i nonni. Dagli arredi su misura alle pareti color noce con fotografie in bianco e nero, dal pavimento in graniglia alle travi a vista e ai vetri a cattedrale, dalla mise en place dominata dal bianco alla colonna sonora di vecchie hit, tutto parla degli anni 80. “Abbiamo dato tanto valore alla ricerca estetica, frutto – afferma Stefano Cerliani, uno dei quattro titolari – della ricerca in vari mercatini. Con Speciale Osteria (Via Pastrengo 11, Milano) vogliamo proporre una atmosfera che coniughi la presenza di un oste da vecchi tempi ad una cucina molto semplice fatta di tanta tradizione e ricette provenienti dalle vecchie generazioni. Ma con la giusta contaminazione dei giorni nostri”

Tutto fatto in casa, come una volta

Ed infatti ad aprire le danze, tra gli antipasti, è un vitello tonnato servito con un pizzico di innovazione. “Facciamo – spiega il Restaurant Manager Fabio Macaluso – una salsa tonnata un poco più liquida rispetto a quella tradizionale che viene cotta con le uova sode, così da coprire tutte le fettine del vitello” A terminare, una salsina d’arrosto. “Per un tocco fresco, croccante e innovativo che aggiunge ulteriore morbidezza” Tutto viene fatto internamente, dalla pasta alle salse fino alle lavorazioni delle carni. Come avveniva negli anni 80. “Vogliamo creare una storicità e diventare il punto di riferimento del quartiere per una ristorazione diversa. Una ristorazione che veda il contributo di persone che credono in quello che fanno, come succedeva allora

Un tocco di milanesità, come da tradizione

Il menù è incentrato su piatti di terra, al momento in carta di cucina di pesce c’è solo un antipasto di baccalà mantecato. Alcuni piatti (come i fiori di zucca, la polpetta al pomodoro, il lombatello con erbe di campo) sono partiti come special, ma l’apprezzamento della clientela li ha fatti diventare punti fermi della proposta di Speciale Osteria. “Siamo fieri di questi prodotti – rimarca Stefano Cerliani –perché sono stati voluti, pensati e studiati” Da ogni voce del menù traspare semplicità, a voler ricreare l’atmosfera di casa. Con un tocco di milanesità, come dimostrano i mondeghili con maionese allo zafferano, il risotto alla milanese con midollo e gremolada e la costoletta di vitello rivestita di rucola e pomodorini. Come da tradizione, cosi come da tradizione è la lasagna servita solo alla domenica.

Gnocco fritto, il Nord Italia in un boccone

Valorizzata la parte vegetale, attraverso la cottura della brace che trova ampio spazio nel menù. “Con il forno a carbone andiamo a gestire tutta la parte dell’orto che può essere collocato sia come antipasto sia come supporto ai secondi” In carta si trovano infatti asparagi, verdure di stagione, filetto con sugo d’arrosto e costata di scottona, tutti rigorosamente alla brace. Altro punto forte della cucina sono i ragù, abbinati alle paste fresche fatte in casa. “Inevitabile richiamarsi all’Emilia, anche se in alternativa a quello più tradizionale abbiamo un ragù bianco composto per il 60% da faraona e per il 40% da coniglio” Un richiamo ripreso anche dal gnocco fritto, servito con prosciutto crudo, coppa piacentina, pancetta cotta, salame gentile e giardiniera. “Il Nord Italia in un boccone”, commenta Stefano Cerliani.

Atmosfera e proposta d’altri tempi

Scorrendo il menù, si incontra una voce che ribadisce ancora una volta di più la volontà di ricreare una proposta d’altri tempi. Forse un po’ retrò nella sua semplicità, ma proprio per questo rincuorante. E’ la “barba dei frati” condita con il limone, voce ormai scomparsa dalle tavole dei ristoranti milanesi. “Fresca e un po’ acidula, è saltata in padella per farne sentire tutto il sapore” La semplicità rimane comunque la costante della proposta di Speciale Osteria, nel piatto come nel calice. “I nostri vini – conclude Stefano Cerliani – provengono principalmente da piccole cantine. Semplici e beverini” Insomma, da Speciale Osteria si respira l’atmosfera dei vecchi trani. Dove ad una proposta onesta e sincera si unisce il piacere della buona compagnia. E chissà se in futuro, dalla cucina, non esca qualcuno con una chitarrina a cantare vecchie canzoni milanesi.

Gusto di autore sul fiume, l’estate di Makorè

Darsena ferrarese, Makorè presenta la tradizione del bacaro veneziano

Fino al 10 agosto, Makorè lascia temporaneamente la sua sede di via Palestro nel centro di Ferrara. Trasformato in un locale a cielo aperto lungo le sponde del Po. A fare da sfondo, la Darsena ferrarese che unisce il rigore della qualità gastronomica ad una atmosfera più conviviale. Qui, sulla sponda del Canale Burana riqualificato, Makorè propone la tradizione del bacaro veneziano, riproposta nella sua più pura essenzialità senza nulla concedere alla innovazione. “Ho portato in Darsena – evidenzia lo Chef Denny Lodi Rizzini – tutta l’esperienza cumulata in cinque anni di lavoro a Venezia. Ricreando un bacaro veneziano a Ferrara

Una carrellata di sapori che raccontano il mare e la laguna

Inevitabili protagonisti i cicchetti, piccoli bocconi ideali per l’aperitivo. Una carrellata di sapori che raccontano il mare e la laguna tra spada affumicato con stracchino, baccalà mantecato su polenta, alici in saor e polipetti in umido. A questi si aggiungono tramezzini e polpette, da quelle al tonno e ricotta a quelle con pecorino e melanzane. A cena piatti più strutturati per una cena completa, ma sempre informale. Dal cous cous di calamari e verdure di stagione all’hot dog di polpo con salsa barbecue e cipolle caramellate, fino ai classici spiedini di gamberi e calamari.

Esperienza versatile e accessibile, ma non mancano le ostriche

Non mancano peraltro le preparazioni crude, come la tartare di tonno e di salmone e la selezione di ostriche particolari provenienti da Italia, Irlanda e Francia. A chiudere il pasto, una selezione di dolci della tradizione come tiramisù, zuppa inglese e la brioche farcita con ricotta e pesche di stagione. Una proposta con la quale Makorè si apre alla città trasformando la sua visione di alta cucina in una esperienza versatile e accessibile. Comunque fedele ai principi di ricerca e cura del dettaglio. “Quello che facciamo in Darsena è presentare una proposta molto più semplice e diretta”. Ma gli amanti del fine dining non temano, Makorè ritornerà nella sua sede storica il 4 settembre per riproporre i suoi piatti più iconici.

Amaki, AmaMi Ancora celebra i suoi dieci anni

AmaMi, dagli Usa a Milano il passo è breve

Da dieci anni AmaMi delizia il palato dei milanesi con la sua pizza senza lievito, una proposta nata dallo spirito imprenditoriale di Mauro Rossetto dopo una breve quanto significativa esperienza a Miami e, prima ancora, in una importante catena di pizzerie. “Quella della pizza senza lievito è una idea che Mauro ha sviluppato insieme ai titolari di Brik Oven, quando vi lavorava – specifica Cristiana Serafini, cotitolare e moglie del fondatore di AmaMi – Poi, una volta lasciato Brik Oven, ha pensato di esportare questa idea negli Stati Uniti insieme ad alcuni soci. Ma il mercato statunitense non era pronto ed allora, volendo rientrare in Italia, ha pensato di investire a Milano

Pizza friabile e leggera, punto di riferimento

Certo il periodo non era dei più favorevoli, l’imminente Expo2015 aveva fatto lievitare enormemente i costi degli affitti. Ma la volontà di aprire questo format nella propria città è troppo forte per Mauro Rossetto. Dopo circa otto mesi di ricerca apre AmaMi in Via Vespucci. La zona, densa di uffici e molto frequentata dai turisti, è ideale per coniugare il desiderio di aprire a Milano con l’esperienza maturata negli Stati Uniti. Velocemente diventa il punto di riferimento a Milano della pizza leggera e friabile, anche se nel tempo la cucina ha preso sempre più spazio.

AmaMi Ancora, un altro tipo di seduta

Un AmaMi tira l’altro, nasce così nel 2024 AmaMi Ancora nel quartiere Porta Romana di Milano. La location è elegante e conviviale, arredata dal designer milanese Andrea Langhi. Il quartiere è residenziale, AmaMi Ancora è pensato per un altro ritmo ed un altro tipo di seduta. Aperto tutti i giorni con orario continuato, è infatti possibile mangiare a qualsiasi ora. “Le persone non si devono chiedere quale sia l’orario di apertura o di chiusura. Nei nostri locali devono respirare una atmosfera calda ed accogliente, una familiarità che si sposa con l’attenzione al dettaglio. Perché si perdona più un piatto mal riuscito che una mancanza di cortesia”

Semplicemente contemporaneo

Diversamente da Via Vespucci che segue una linea più vocata alla tradizione, da AmaMi Ancora si respira una aria più contemporanea ed europea. Il risultato lo si vede in cucina. Da AmaMi trionfano piatti come il raviolo condito con burro, salvia e tartufo, oltre i classici spaghetti alla amatriciana, cotoletta di vitello e tartare. Il tutto annaffiato da vino, birra artigianale e, per i più “avventurieri”, sidro e kombucha. Da AmaMi Ancora è invece la pizza a essere assoluta protagonista, tanto che una delle pizze che compongono il menù si chiama Margherita Sovrana. “E’ una Margherita con pachino e datterini gialli, nella sua semplicità incontra il gusto di tutti ” Iconica, la Milano da Bere. “Con il salame piccante, la ventricina e, sopra, il peperoncino piccante è uno stimolo irresistibile per il palato

Il commensale sceglie l’impasto, al pairing ci pensa AmaMi Ancora

In entrambe le location, ogni giorno si prepara la pizza utilizzando impasti con farine diverse. Al commensale la possibilità di scegliere tra Senatore Cappelli, farro, integrale, canapa e, per coloro che vogliono una maggiore croccantezza, grano saraceno e grano arso. Particolare è anche la forma che somiglia ad una lingua, un dettaglio che aggiunge un tocco visivo distintivo. Accanto alle pizze, sfiziosità varie come il gnocco fritto servito con cinta senese e le chips di polenta taragna servite con gorgonzola e crema di carote .A rendere diversa l’offerta di AmaMi Ancora è anche il pairing, che spazia dai cocktail ai mocktail. Ad ogni pizza, è abbinato un drink consigliato dalla sala. “Uno dei primi drink che abbiamo proposto qui ad AmaMi Ancora – ricorda Cristiana Serafini – è stato fatto con un distillato analcolico italiano a base di erbe”

Amaki, novità del decennale

Ma poiché ricorrono i dieci anni, per festeggiarli AmaMiAncora ha presentato una novità destinata a conquistare gli amanti del gusto. Sono gli amaki, un formato originale che rivoluziona il modo di gustare la pizza. Frutto di una attenta ricerca e sperimentazione, i nuovo rotoli di pizza da mangiarsi in un boccone sono presentati come fossero uramaki. “All’interno hanno solo la mozzarella, la pizza viene cotta arrotolata e poi tagliata a pezzettini e farcita a crudo con formaggi selezionati, salumi DOP, verdure di stagione e salse gourmet. Abbiamo voluto creare un prodotto che coniugasse la nostra passione per la pizza con l’esigenza di proporre qualcosa di nuovo e ricercato ma pratico e al passo con i tempi. Per unire gusto e qualità a leggerezza e innovazione” Apprezzatissimi, tra i tanti, quelli con prosciutto e patè di carciofi e quello con gorgonzola,avocado e miele

Brunch, per creare condivisione

Se gli amaki sono la vera novità, il brunch del weekend vuole essere innovativo. Tra le proposte dolci troviamo yogurt greco con gocce di miele e mix di frutta, pancake integrali con succo di acero e frutti di bosco, crostata di grano saraceno con confettura di frutta e le classica torta di mele. Tra le proposte salate, si può invece spaziare tra focaccia senza lievito con olio e rosmarino, stick di patate americane con salsa allo yogurt, omelette con ratatouille di verdure, hummus di ceci con sesamo e paprika oltre a mondeghili con coulis di pomodoro pachino confit e le immancabili uova strapazzate con formaggio e quelle in camicia con speck croccante. “Da dieci anni creiamo piatti in grado di esprimere il sapore autentico delle materie prime – conclude il titolare Mauro Rossetto – Amaki e brunch vogliono essere un momento nel quale il gusto incontra la condivisione

Tappo a vite, la scommessa di Cantele

Cantele, emigrazione al contrario

Erano gli anni Cinquanta quando Giovan Battista Cantele e sua moglie Teresa si trasferirono con l’intera famiglia da Imola al Salento. Un amore per queste terre trasmesso ai figli Augusto e Domenico, sono questi ultimi che, vent’anni dopo, danno una spinta decisiva all’azienda piantando i primi degli attuali 50 ettari di proprietà. Oggi gestiti dalla terza generazione, costituita dai quattro nipoti che hanno portato Cantele ad essere una delle più importanti aziende vinicole della Puglia. Con uno sguardo sempre attento alla salvaguardia ambientale e all’intero ciclo produttivo, basato su un utilizzo efficiente delle risorse ed un contenimento degli sprechi.

Inversione termica e lieviti poco impattanti, linee guida

Utilizzo lieviti selezionati, escludendo quei lieviti che risultino essere fortemente impattanti a livello aromatico – spiega Gianni Cantele, uno degli attuali proprietari di Cantele – Preferisco lavorare sulla inversione termica durante la fermentazione, così da portare i lieviti ad una fermentazione prematura alla temperatura di circa 18° per poi portarli a 12°-13°ce così tenerli per un paio di giorni. L’effetto che ne deriva è la formazione di aromi iolici che danno una maggiore complessità al vino” A contraddistinguere la produzione, i rosati che sono sempre stati una peculiarità dell’azienda. Tra questi, il Negroamaro Rosato Rohesia risulta essere uno dei vini più rappresentativi e amati dell’azienda salentina.

Tra tradizione e innovazione


Il Negroamaro è certamente il vitigno per noi più identitario, è la varietà che probabilmente meglio si presta alla vinificazione in rosato sostiene Gianni Cantele – Lavorando direttamente in pressa e procedendo con una lunga macerazione delle bucce a contatto con il mosto, siamo arrivati a definire una colorazione più decisa Ma non solo per una appartenenza territoriale, del quale il Negroamaro è espressione. In una sorta di trait d’union che collega tradizione e innovazione, le bottiglie di Negroamaro Rosato Rohesia di Cantele introducono una piccola rivoluzione.

Tappo a vite, una scelta che guarda al futuro

A 10 anni dalla sua nascita, il Negroamaro Rosato Rohesia è infatti il primo vino dell’azienda ad adottare la chiusura con ìl tappo a vite. Una scelta che ha preso forma con l’avvio cinque anni fa del progetto di ristrutturazione dell’impianto di imbottigliamento e l’adozione di un sistema di chiusura alternativo, concretizzatosi con l’introduzione del tappo VinTop. E’ una scelta che guarda al futuro, nonostante la tradizionale diffidenza del consumatore italiano verso questa tecnologia – spiega Gianni Cantele – Siamo convinti che innovazione e qualità vadano di pari passo, il Rohesia 2024 ne è la dimostrazione” Con una decisa virata verso una sempre maggiore sostenibilità delle pratiche produttive. “Il tappo in alluminio è completamente riciclabile e permette di mantenere la qualità inalterata nel tempo

Permeabilità all’ossigeno, scommessa vinta

L’utilizzo del tappo a vite non è comunque una novità enologica. “E’ la forma di chiusura più utilizzata all’estero per vini come il Sauvignon Blanc e il Pinot Nero – rileva Gianni Cantele – Probabilmente perché i mercati meno legati alla tradizione del tappo di sughero hanno puntato sulla possibilità di meglio preservare le caratteristiche dei vini con il tappo a vite. Un dato che ci ha sospinto a rompere gli indugi rispetto a quella che era la resistenza del mercato verso questo tipo di chiusura” Anche per una questione di qualità e praticità. La bassa permeabilità all’ossigeno supera di oltre dieci volte le performance della chiusura con il tappo di sughero, garantendo così una protezione costante nel tempo. Ai vini giovani consente di esprimere la loro freschezza, a quelli invecchiati di conservarsi evitando sentori di tappo”

Negroamaro Rohesia, risposta al territorio

Negroamaro Rosato Rhoesia è indubbiamente il prodotto di punto della proposta di Cantele, ma i 50 ettari dell’azienda salentina sono oggi impostatati sulla produzione anche di Susumaniello, Primitivo e Chardonnay. “Parte della nostra tenuta è in una contrada sormontata da una masseria, chiamata Monte Calabrese, che sorge sopra una lievissima elevazione del terreno oscillante tra i 40 e 50 metri. Il terreno è calcareo-argilloso, caratterizzato da una aridità dovuta alle scarse precipitazioni. Fortunatamente la vite va molto in profondità con le radici, riuscendo così a sopperire l’aridità del terreno”

Amativo, blend rappresentativo

Tra i vini dei quali Cantine Cantele è orgogliosa, senza dubbio va annoverato l’Amativo. Espressione dei due vitigni più importanti del territorio. “E’ il blend tra Primitivo e Negroamaro che negli anni ’90 mio padre ha pensato ispirandosi ai supertuscan. Ha combinato il potenziale di esplosività aromatica e di potenza olfattiva del Primitivo con la austera ma elegante tannicità del Negroamaro che porta struttura al vino. Parliamo ovviamente di due vitigni diversi che maturano in tempi diversi e vengono vinificati in tempi diversi, quindi solo quando sono entrambi pronti viene fatto l’assemblaggio” Il blend prevede un 60% di Primitivo e 40% Negroamaro, dopo 12 mesi di affinamento in legno fa un passaggio in acciaio prima di fare imbottigliamento per un paio di mesi.

Verdeca, l’alternativa

Di riscoperta si tratta quando invece parliamo del Verdeca. “Fa parte della nostra linea classica, lo abbiamo inserito dieci anni fa come alternativa allo Chardonnay che cominciava a perdere colpi a favore dei vitigni autoctoni. Ecco che abbiamo rilanciato un vino come la Verdeca caratterizzato da una acidità importante, freschezza ed una buona versatilità dal punto di vista enogastronomico” Senz’altro interessante è poi il Teresa Manara, un Negroamaro in purezza dedicato alla fondatrice dell’azienda. Prodotto da vigneti molto vecchi, allevati ad alberello.

Teresa Manara, rispettata la filosofia aziendale

Le uve in piena maturazione vengono raccolte subito dopo Ferragosto. La fermentazione inizia in serbatoi d’acciaio e verso la fine il mosto viene travasato in barrique nel quale rimane per circa sette mesi. L’affinamento avviene in botti di primo passaggio per il 30%, in botti di secondo e terzo passaggio per il 70%. L’assemblaggio di tre declinazioni diverse dello stesso vino che hanno fermentato in legni diversi – conclude Gianni Cantele – permette quindi di avere un vino estremamente complesso e con una bella spalla acida. In linea con l’idea iniziale di mio padre di creare un vino dalla personalità molto forte e dalla buona longevità. Teresa Manara è la filosofia di Cantele in bottiglia

Laboratorio Sinestetico, il Salento si racconta

Profumi che trovano forma nel Laboratorio Sinestetico, dove le materie prime vengono valorizzate attraverso ricette pensate per creare un dialogo sensoriale tra cibo e vino. “L’ispirazione per gli abbinamenti nasce dal territorio salentino. Accanto ad un hummus di ceci con polpa di melanzana e ortaggi di stagione abbiniamo il Teresa Manara Chardonnay la cui morbidezza avvolgente e complessità aromatica valorizzano la cremosità del piatto mentre le note tostate bilanciano l’affumicatura della melanzana. Alle orecchiette con crema di rape, caciocavallo e polvere di olive nere accostiamo il Rohesia Negroamaro, la sua freschezza e struttura esaltano sia le note sapide della crema di rape sia l’intensità del caciocavallo e delle olive. La persistenza ed i tannini eleganti insieme ai sentori di ribes e spezie dolci del Teresa Manara Negroamaro sono invece il perfetto accompagnamento a lunghe cotture e carni succulente. Con Laboratorio Sinestetico – conclude Gianni Cantele – evochiamo il racconto autentico del Salento attraverso i sensi

Porcobrado, il sapore della Toscana in un panino

Porcobrado, carne di maiale protagonista

I nostri maiali i vivono allo stato brado, da qui il nome. L’ unica cosa che non viene fatta in azienda è la macellazione – spiega Pasquale Nastri, responsabile di Porcobrado in via Jacopo dal Verme 17 a Milano – Dopo essere stata cotta al barbecue o al forno, passata in salamoia e quindi affumicata con legno di ciliegio per un totale di 100 ore, la carne arriva a Milano dove deve essere solo rigenerata” Partito otto anni fa con un food truck, oggi Porcobrado è un avviato locale nel quartiere Isola frequentato da persone alla ricerca di una pausa veloce, di qualità e a prezzi contenuti. Un locale di 60 coperti circa (tra la sala e il dehors esterno) difficile però da definire. Ne hamburgheria ne paninoteca, è sicuramente un tributo alla carne di maiale.

Ambiente minimal, sapori toscani in evidenza

Quando Angelo Polezzi ha convertito l’allevamento nella produzione di cinta senese e maiale nero che portava in giro con il food truck, ha elevato la carne di maiale a un livello superiore – prosegue Pasquale Nastri – Il locale nasce invece dall’incrocio delle nostre volontà, quella di Angelo di ampliare l’offerta e la mia di aprire un ristorante” L’ambiente è minimal e post moderno, la saletta è dominata dalla bella insegna posta in alto. Pronti e via, si parte con un tagliere di affettati toscani, dal prosciutto crudo alla finocchiona, accompagnate da patatine rigorosamente non fritte. Un entreè godurioso che prepara il palato ad un viaggio alla scoperta dei sapori toscani.

Maiale-tartufo, accoppiata vincente

Il panino base è pane e spalla di maiale, ma la lista comprende quelli con le salse a base funghi e pomodori, la salsa all’aglione della Val di Chiana, quella a base peperoni e la classicissima cipolla caramellata. “E’ la più venduta – sottolinea il responsabile – ma riscuotono tanto successo anche quelli con salse speciali come la salsa barbecue al whisky, la salsa alla birra e quella al quella al quacamole per coloro che vogliono una salsa più fresca. E siccome maiale e tartufo si accompagnano molto bene, in lista si trovano panini con salsa al tartufo e porcini piuttosto che tartufo e pomodori. Ma il merito è della carne e del pane che utilizziamo

Carne naturale, nessun prodotto chimico

Il procedimento che porta al prodotto finito dura più di 100 ore, la carne è 100% naturale e genuina senza l’uso di alcun prodotto chimico. Il risultato è una carne abbastanza magra. “Partendo da una leggera e profumata affumicatura con legno di melo e ciliegio, riposa alcuni giorni nella marinatura con la nostra ricetta di spezie. La cottura finale avviene esclusivamente con legna di quercia di Cortona nello speciale barbecue da noi realizzato. Ciò permette di cuocere la carne a bassa temperatura bagnandola con il proprio grasso fondente

Anche il pane parla toscano

A fare la sua parte anche il pane impiegato per fare i panini. Ottenuto da una miscela di farine 100% toscane impastate con lievito madre e farina di grano Verna, antico grano aretino macinato rigorosamente a pietra e a basso contenuto glutinico. “Siamo partiti da una michetta toscana fino ad arrivare ad una forma tonda. Il basso contenuto glutinico del grano verna e la lenta lievitazione ci permettono di dare un pane digeribile, con l’aggiunta di 15% di farine integrali gli abbiamo donato anche un poco di croccantezza” Tutto insomma parla toscano, compreso i vini (per la verità un paio di Chianti e un Morellino di Scansano) e un paio di birre artigianali. “Perché – conclude Pasquale Nastri – Porcobrado è il sapore della Toscana racchiuso in un panino

Mannarino, convivialità in macelleria

Mannarino, dal banco alla tavola

Quando la carne diventa protagonista di una esperienza, Mannarino è molto più di una macelleria. Certo, entrando quello che si nota subito è il bellissimo e nutritissimo banco ma se si sposta lo sguardo appena un poco si intravede la annessa area ristorante. Non un ristorante qualsiasi, ma un ambiente caldo ed accogliente nel quale il commensale può esplorare la cucina del Sud Italia attraverso un menù che lui stesso può creare. Nessun menù prestampato, è il commensale stesso a scegliere, direttamente al banco, i tagli di carne che poi gli serviranno in tavola. Accompagnati da antipasti e contorni, sempre del Sud Italia, e, per gradire, un apprezzabile calice di Primitivo della casa.

Convivialità condivisa

Scelto, tagliato, grigliato è il nostro claim – precisa Mirko Lettieri, Store Manager del punto di Via Tenca 12 a Milano – Da noi non vengono solo gli amanti della carne ma anche vegetariani che vogliono esplorare questo mondo. Tutti accomunati dal piacere di entrare in un ambiente nel quale vengono accolti sin dall’entrata e accompagnati in ogni momento della loro presenza. Un ambiente dove la convivialità regna sovrana” Convivialità peraltro condivisa anche dagli amici a quattro zampe. “Da noi i cani sono ben accetti (con loro grande soddisfazione, come potete immaginare), per rendere a loro piacevole la sosta a Il Mannarino abbiamo predisposto una box contenente qualche pezzo di carne

Macellaio di fiducia, figura riscoperta

Nato da una idea di Gianmarco Venuto e Filippo Sironi, i soci proprietari, Il Mannarino è un tributo all’idea della bottega artigiana di un tempo. A cominciare dal nome. “Mannarino è il coltello di cucina usato un tempo dai macellai, quando questi erano un vero e proprio punto di riferimento per i clienti. Persone di fiducia con le quali poter scambiare anche due chiacchiere. E’ il rapporto che abbiamo voluto ricreare da Il Mannarino, l’atmosfera che si respira è un valore aggiunto” Senza togliere che il Mannarino rimane una macelleria a tutti gli effetti. “Da noi si può entrare anche semplicemente per compare la carne e portarsela a casa, la nostra attenzione non cambia

Non solo bombette

Oltre ai grandi classici come costate e fiorentine, filetto e controfiletto, Il Mannarino propone T-bone e tomahawk, arrosticini abruzzesi, zampine (classiche salsicce pugliesi), alette di pollo piemontese panate. Oltre alle polpette della nonna, cotte tutta la notte nel sugo e servite come antipasto. Tutti completati da verdure grigliate, cime di rapa, caponata e patate novelle. Immancabili, le iconiche bombette pugliesi preparate a mano ogni giorno e cotte al forno che di Il Mannarino hanno fatto la storia. “Ci identificano, le serviamo nella versione classica con capocollo di maiale e formaggio canestrato piuttosto che con pancetta affumicata, filetto di maiale e senape. Oppure con capocollo di maiale, provolone, mortadella con pistacchio e panatura al carbone vegetale. Ma non siamo solo questo

Produttore di se stesso

Ma non si fermano qui, negli anni l’offerta di Il Mannarino si è ampliata. Soprattutto negli ultimi tre. “Abbiamo introdotto la bombetta di manzo e quella messinese. Il tomawak, per esempio, lo abbiamo introdotto un anno fa. Da quando cioè abbiamo la filiera controllata, le nostre carni di fassona ed angus provengono da due allevamenti piemontesi che seguiamo direttamente fino a lavorare le carni nel nostro laboratorio di Monza, il Manna Lab. Il Mannarino – conclude Mirko Lettieri – è diventato produttore di se stesso

Tite, l’Etruria in tavola


Tite, tra bistrot e trattoria

Da fuori ha tutta l’aria di un bistrot, una volta entrati si ha la sensazione di essere in una trattoria di matrice contemporanea. Elegante nella sua semplicità, Tite propone un percorso gustativo a cavallo di tre regioni che prende ispirazione dalle tradizioni del Centro Italia per un viaggio alla scoperta delle nostre radici. “Con la nostra proposta andiamo ad abbracciare la cucina di Umbria, Toscana e Lazio – dice Chef Francesco Zucchi Ricordi, uno dei soci fondatori di Tite – Sempre attingendo ai prodotti dei territori, senza abbandonare la tradizione ma con la voglia di rivisitazione di alcuni classici

Essenziale, nell’arredo come nei piatti

A definire la nascita di Tite (Viale Cassiodoro 5, Milano), l’incontro tra Francesco Zucchi Ricordi (ex Bech ed e Rua) e Alessio Algherini (ex Four Seasons e Trattoria Monluè). Essenziale nelle linee, è un ambiente unico con un dehors chiuso a prolungare la sala di 30 coperti. A destra dell’entrata il bancone bar, alle sue spalle la cucina. Nella parete in fondo, la bottigliera che comprende circa 200 referenze. Il tutto in soli 60 metri quadrati. All’esterno, sul marciapiede, un altro dehors di una ventina d posti. Una essenzialità che si ritrova nei piatti. “Negli anni mi sono appassionato di cucina regionale, in Tite deve costituire il pilastro della nostra offerta. Senza fronzoli

Primi e taglieri, viaggio culinario tra Lazio e Toscana

Si parte con i taglieri di cinta senese, a base di lombo, capocollo e coppa di testa, per proseguire poi con gli antipasti. “Tra i più gettonati – rileva Francesco Zucchi Ricordi – le polpette di bollito con salsa verde che ricordano i mondeghili e i crostini con i fegatini toscani, che costituiscono i piatti cardine della nostra proposta insieme alla amatriciana con cacio e pepe e l’abbacchio alla scottadito. Ma anche il carciofo ripieno, che rimane in carta quasi sei mesi nonostante il menù cambi ogni tre” Tra i primi, i tortelli maremmani. “Molto semplici, sono fatti con ricotta, spinaci e parmigiano. Noi li proponiamo con ragù di cinta senese oppure con burro e salvia

Peposo dell’Impruneta, la continuità

Spicca invece, tra i secondi, il Peposo dell’Impruneta che prende il nome dal piccolo centro sulle colline vicino a Firenze, famoso in tutto il mondo per la produzione di terracotta. “Qui era tradizione che le pentole con la carne venissero messe in un angolo della fornace, in modo da sfruttarne il calore per la lunga cottura Tradizione rispettata anche da Tite, con la sola eccezione, ovviamente, della fornace. “Sostanzialmente è uno spezzatino di manzo che cuoce con vino rosso, aglio e pepe per un paio d’ore a fiamma bassa

Menù di terra e quinto quarto, ma non solo

Un menù essenzialmente di terra, che strizza l’occhio anche al quinto quarto. “Da Tite si trova spesso un piatto come la trippa, declinata alla romana o alla fiorentina. E poi anche una coda alla vaccinara rivisitata, che facciamo bollire con erbe aromatiche e vino bianco per poi piastrarla e servirla con crema di cavolfiore e una salsa ottenuta dalle ossa, bollite e tritate, della coda” Ma una strizzatina d’occhio Tite la riserva anche alla cucina di mare. “Abbiamo avuto per un paio di mesi il caciucco alla livornese, servito rigorosamente senza lische per venire incontro ai gusti dei milanesi – sottolinea lo chef – Le nostre seppie in zimino, cotte con aggiunta di spinaci nel brodo vegetale, hanno riscosso molti apprezzamenti”

Aperitivo, c’è anche quello strutturato

Essenziale la carta dei dolci, con poche proposte rispettose della tradizione. Se non per qualche piccola divagazione, come la panna cotta ai cachi o alla castagna e arance. In continua evoluzione, invece, la carta dei vini. “L’aperitivo è improntato sul mondo vino, ma se qualcuno vuole uno spritz o un gin tonic glielo facciamo. In affiancamento, oltre ai classici stuzzichini, polpette e crostini con fegatini. Tra i salumi proponiamo coppa di testa, capocollo e prosciutto crudo per integrare e fare un aperitivo più strutturato che non sia il semplice benvenuto”

Pranzi a tema regionali e novità in arrivo

Interessanti gli occasionali pranzi domenicali a tema regionale. “Sono pranzi con un menù fisso che prevedono tanti antipasti in condivisione, un piatto principale e un dolce. Pensati per uscire dai nostri territori di riferimento. Sono stati l’occasione per proporre pietanze diverse come panissa e muscoli ripieni, salsiccia di bra e guancia di vitello brasata con purea di patate, sarde a beccafico e mezze maniche con pesce spada, melanzana e menta” Novità, l’apertura a pranzo sia di sabato che di domenica e l’apertura della verandina esterna. “Sposteremo i pranzi a tema nel turno infrasettimanali – conclude Francesco Zucchi Ricordi – Nel weekend ci concentreremo su grigliate e piatti a base di porchetta



Il Circolino, una crescita che vale una Stella

Il Circolino, virata verso l’internazionalità

La proposta gastronomica di “Il Circolino” di Monza si divide tra Il Circolino Bistrot, che propone una offerta veloce ispirata alle tapas spagnole, e Il Circolino by Sadler, ristorante gourmet con menù a la carte che segue la stagionalità. Due proposte decisamente diverse, ma accomunate dalla eleganza degli ambienti e dalla cura per il servizio. A goderne è comunque il commensale, che può spaziare dalle croquetas di jamon iberico ed entrecote di manzo con patate fritte e salsa cafè de paris a socarrat de cap i pota, gambero, fave e aioli fino a merluza a la plancha, percebes e patata alla vaniglia oltre a terrina di maiale, verza e salsa cassoeula. Una decisa virata verso l’internazionalità, a dispetto degli esordi.

Locale attrattivo, non solo per i monzesi

Quando abbiamo aperto due anni fa – dice il Resident Chef Lorenzo Sacchi – la proposta era decisamente più semplice. A guidarci era il fortissimo desiderio di piacere alla clientela monzese, tradizionalmente restia alle novità. Ma in realtà non riuscivamo a comunicare al cliente quanto desideravamo, nonostante la bontà della proposta. Proposta che non esprimeva la nostra vera identità, non si sentiva il cuore e la mano del cuoco” Aprile 2024, il cambio di passo. “Ci siamo resi conto che non dovevamo piacere esclusivamente ai monzesi, dovevamo essere attrattivi anche per il cliente che veniva da fuori

Proposte made in Spagna

A rafforzare la scelta, l’internazionalità della brigata. Lorenzo Sacchi è cresciuto professionalmente a Barcellona, la General Manager Maria Sainz è originaria di Madrid. Una atmosfera spagnoleggiante che ha certo influito sulle scelte di Il Circolino. “Abbiamo cambiato totalmente la carta, con il beneplacito di Chef Sadler. Abbiamo fatto un menù degustazione completamente spagnolo con una rivisitazione della paella, la socarrat è una paella molto più fine e caramellizzata. Le chocotes sono invece le gole del baccalà cotte con olio, aglio e peperoncino a fiamma molto bassa, per fare uscire il collagene del quale il baccalà è molto ricco e con con il quale creiamo una emulsione

Metodo e regolarità, il sostegno del personale

Tipicamente spagnola anche una versione di riso e latte. “Cuociamo il riso con il latte e, invece di mangiarlo insieme, lo filtriamo. Abbiamo quindi una latte infusionato al riso che serviamo con un biscotto al pistacchio e gelato agli agrumi” Cambiamenti che hanno trovato sempre piena partecipazione da parte del resto della brigata. “Il Circolino ha avuto la fortuna di non cambiare la brigata di cucina – sottolinea il Resident Chef – La nostra proposta è cresciuta grazie alla costanza del personale, rapido a percepire i cambiamenti. Con metodo e regolarità siamo cresciuti un poco alla volta, ogni passaggio è stato naturale. Ho spinto realmente con la cucina solo quando mi sono reso conto che lo staff era pronto a questo salto. Non puoi iniziare a correre se prima non hai imparato a camminare

Crescita costante

Un gruppo di persone, molte delle quali ignare di cosa fosse il fine dining, arrivato a conseguire, due mesi orsono, il prestigioso riconoscimento della stella Michelin. “Sono davvero felice ed emozionato per questa assegnazione, merito di un duro lavoro portato avanti con costanza e dedizione da tutta la nostra squadra. Ho trasmesso loro quanto ho imparato dai miei maestri, ma ho anche ricevuto molto. Senza di loro tutto questo non sarebbe stato possibile” Con la consapevolezza di avere alle spalle una compagine societaria che gli ha permesso di sviluppare il progetto di un ristorante dove lo scontrino medio si aggira sui 130€,

La Stella Michelin, conferma di un percorso

Voglio ringraziare in particolare il mio sous-chef, Juan José Sanz, e Maria Sainz, che dalla Spagna mi hanno seguito in questo progetto. E ovviamente, Chef Sadler, che mi ha dato fiducia lasciandomi massima libertà nella creazione dei menù e nella gestione della cucina” Un riconoscimento, quello della Stella Michelin, che porta nuovi stimoli nell’ottica di una ulteriore crescita, non solo professionale. “Da monzese mi riempie di orgoglio che Il Circolino sia il primo ristorante di Monza a guadagnarla. E’ un riconoscimento al lavoro fatto e a come è stato fatto, ma anche a ciò che siamo. Ma conclude Lorenzo Sacchi – non ci sentiamo cambiati, siamo solo più consapevoli. Sempre fedeli a noi stessi, il viaggio è appena iniziato”