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Amaki, AmaMi Ancora celebra i suoi dieci anni

AmaMi, dagli Usa a Milano il passo è breve

Da dieci anni AmaMi delizia il palato dei milanesi con la sua pizza senza lievito, una proposta nata dallo spirito imprenditoriale di Mauro Rossetto dopo una breve quanto significativa esperienza a Miami e, prima ancora, in una importante catena di pizzerie. “Quella della pizza senza lievito è una idea che Mauro ha sviluppato insieme ai titolari di Brik Oven, quando vi lavorava – specifica Cristiana Serafini, cotitolare e moglie del fondatore di AmaMi – Poi, una volta lasciato Brik Oven, ha pensato di esportare questa idea negli Stati Uniti insieme ad alcuni soci. Ma il mercato statunitense non era pronto ed allora, volendo rientrare in Italia, ha pensato di investire a Milano

Pizza friabile e leggera, punto di riferimento

Certo il periodo non era dei più favorevoli, l’imminente Expo2015 aveva fatto lievitare enormemente i costi degli affitti. Ma la volontà di aprire questo format nella propria città è troppo forte per Mauro Rossetto. Dopo circa otto mesi di ricerca apre AmaMi in Via Vespucci. La zona, densa di uffici e molto frequentata dai turisti, è ideale per coniugare il desiderio di aprire a Milano con l’esperienza maturata negli Stati Uniti. Velocemente diventa il punto di riferimento a Milano della pizza leggera e friabile, anche se nel tempo la cucina ha preso sempre più spazio.

AmaMi Ancora, un altro tipo di seduta

Un AmaMi tira l’altro, nasce così nel 2024 AmaMi Ancora nel quartiere Porta Romana di Milano. La location è elegante e conviviale, arredata dal designer milanese Andrea Langhi. Il quartiere è residenziale, AmaMi Ancora è pensato per un altro ritmo ed un altro tipo di seduta. Aperto tutti i giorni con orario continuato, è infatti possibile mangiare a qualsiasi ora. “Le persone non si devono chiedere quale sia l’orario di apertura o di chiusura. Nei nostri locali devono respirare una atmosfera calda ed accogliente, una familiarità che si sposa con l’attenzione al dettaglio. Perché si perdona più un piatto mal riuscito che una mancanza di cortesia”

Semplicemente contemporaneo

Diversamente da Via Vespucci che segue una linea più vocata alla tradizione, da AmaMi Ancora si respira una aria più contemporanea ed europea. Il risultato lo si vede in cucina. Da AmaMi trionfano piatti come il raviolo condito con burro, salvia e tartufo, oltre i classici spaghetti alla amatriciana, cotoletta di vitello e tartare. Il tutto annaffiato da vino, birra artigianale e, per i più “avventurieri”, sidro e kombucha. Da AmaMi Ancora è invece la pizza a essere assoluta protagonista, tanto che una delle pizze che compongono il menù si chiama Margherita Sovrana. “E’ una Margherita con pachino e datterini gialli, nella sua semplicità incontra il gusto di tutti ” Iconica, la Milano da Bere. “Con il salame piccante, la ventricina e, sopra, il peperoncino piccante è uno stimolo irresistibile per il palato

Il commensale sceglie l’impasto, al pairing ci pensa AmaMi Ancora

In entrambe le location, ogni giorno si prepara la pizza utilizzando impasti con farine diverse. Al commensale la possibilità di scegliere tra Senatore Cappelli, farro, integrale, canapa e, per coloro che vogliono una maggiore croccantezza, grano saraceno e grano arso. Particolare è anche la forma che somiglia ad una lingua, un dettaglio che aggiunge un tocco visivo distintivo. Accanto alle pizze, sfiziosità varie come il gnocco fritto servito con cinta senese e le chips di polenta taragna servite con gorgonzola e crema di carote .A rendere diversa l’offerta di AmaMi Ancora è anche il pairing, che spazia dai cocktail ai mocktail. Ad ogni pizza, è abbinato un drink consigliato dalla sala. “Uno dei primi drink che abbiamo proposto qui ad AmaMi Ancora – ricorda Cristiana Serafini – è stato fatto con un distillato analcolico italiano a base di erbe”

Amaki, novità del decennale

Ma poiché ricorrono i dieci anni, per festeggiarli AmaMiAncora ha presentato una novità destinata a conquistare gli amanti del gusto. Sono gli amaki, un formato originale che rivoluziona il modo di gustare la pizza. Frutto di una attenta ricerca e sperimentazione, i nuovo rotoli di pizza da mangiarsi in un boccone sono presentati come fossero uramaki. “All’interno hanno solo la mozzarella, la pizza viene cotta arrotolata e poi tagliata a pezzettini e farcita a crudo con formaggi selezionati, salumi DOP, verdure di stagione e salse gourmet. Abbiamo voluto creare un prodotto che coniugasse la nostra passione per la pizza con l’esigenza di proporre qualcosa di nuovo e ricercato ma pratico e al passo con i tempi. Per unire gusto e qualità a leggerezza e innovazione” Apprezzatissimi, tra i tanti, quelli con prosciutto e patè di carciofi e quello con gorgonzola,avocado e miele

Brunch, per creare condivisione

Se gli amaki sono la vera novità, il brunch del weekend vuole essere innovativo. Tra le proposte dolci troviamo yogurt greco con gocce di miele e mix di frutta, pancake integrali con succo di acero e frutti di bosco, crostata di grano saraceno con confettura di frutta e le classica torta di mele. Tra le proposte salate, si può invece spaziare tra focaccia senza lievito con olio e rosmarino, stick di patate americane con salsa allo yogurt, omelette con ratatouille di verdure, hummus di ceci con sesamo e paprika oltre a mondeghili con coulis di pomodoro pachino confit e le immancabili uova strapazzate con formaggio e quelle in camicia con speck croccante. “Da dieci anni creiamo piatti in grado di esprimere il sapore autentico delle materie prime – conclude il titolare Mauro Rossetto – Amaki e brunch vogliono essere un momento nel quale il gusto incontra la condivisione

Tappo a vite, la scommessa di Cantele

Cantele, emigrazione al contrario

Erano gli anni Cinquanta quando Giovan Battista Cantele e sua moglie Teresa si trasferirono con l’intera famiglia da Imola al Salento. Un amore per queste terre trasmesso ai figli Augusto e Domenico, sono questi ultimi che, vent’anni dopo, danno una spinta decisiva all’azienda piantando i primi degli attuali 50 ettari di proprietà. Oggi gestiti dalla terza generazione, costituita dai quattro nipoti che hanno portato Cantele ad essere una delle più importanti aziende vinicole della Puglia. Con uno sguardo sempre attento alla salvaguardia ambientale e all’intero ciclo produttivo, basato su un utilizzo efficiente delle risorse ed un contenimento degli sprechi.

Inversione termica e lieviti poco impattanti, linee guida

Utilizzo lieviti selezionati, escludendo quei lieviti che risultino essere fortemente impattanti a livello aromatico – spiega Gianni Cantele, uno degli attuali proprietari di Cantele – Preferisco lavorare sulla inversione termica durante la fermentazione, così da portare i lieviti ad una fermentazione prematura alla temperatura di circa 18° per poi portarli a 12°-13°ce così tenerli per un paio di giorni. L’effetto che ne deriva è la formazione di aromi iolici che danno una maggiore complessità al vino” A contraddistinguere la produzione, i rosati che sono sempre stati una peculiarità dell’azienda. Tra questi, il Negroamaro Rosato Rohesia risulta essere uno dei vini più rappresentativi e amati dell’azienda salentina.

Tra tradizione e innovazione


Il Negroamaro è certamente il vitigno per noi più identitario, è la varietà che probabilmente meglio si presta alla vinificazione in rosato sostiene Gianni Cantele – Lavorando direttamente in pressa e procedendo con una lunga macerazione delle bucce a contatto con il mosto, siamo arrivati a definire una colorazione più decisa Ma non solo per una appartenenza territoriale, del quale il Negroamaro è espressione. In una sorta di trait d’union che collega tradizione e innovazione, le bottiglie di Negroamaro Rosato Rohesia di Cantele introducono una piccola rivoluzione.

Tappo a vite, una scelta che guarda al futuro

A 10 anni dalla sua nascita, il Negroamaro Rosato Rohesia è infatti il primo vino dell’azienda ad adottare la chiusura con ìl tappo a vite. Una scelta che ha preso forma con l’avvio cinque anni fa del progetto di ristrutturazione dell’impianto di imbottigliamento e l’adozione di un sistema di chiusura alternativo, concretizzatosi con l’introduzione del tappo VinTop. E’ una scelta che guarda al futuro, nonostante la tradizionale diffidenza del consumatore italiano verso questa tecnologia – spiega Gianni Cantele – Siamo convinti che innovazione e qualità vadano di pari passo, il Rohesia 2024 ne è la dimostrazione” Con una decisa virata verso una sempre maggiore sostenibilità delle pratiche produttive. “Il tappo in alluminio è completamente riciclabile e permette di mantenere la qualità inalterata nel tempo

Permeabilità all’ossigeno, scommessa vinta

L’utilizzo del tappo a vite non è comunque una novità enologica. “E’ la forma di chiusura più utilizzata all’estero per vini come il Sauvignon Blanc e il Pinot Nero – rileva Gianni Cantele – Probabilmente perché i mercati meno legati alla tradizione del tappo di sughero hanno puntato sulla possibilità di meglio preservare le caratteristiche dei vini con il tappo a vite. Un dato che ci ha sospinto a rompere gli indugi rispetto a quella che era la resistenza del mercato verso questo tipo di chiusura” Anche per una questione di qualità e praticità. La bassa permeabilità all’ossigeno supera di oltre dieci volte le performance della chiusura con il tappo di sughero, garantendo così una protezione costante nel tempo. Ai vini giovani consente di esprimere la loro freschezza, a quelli invecchiati di conservarsi evitando sentori di tappo”

Negroamaro Rohesia, risposta al territorio

Negroamaro Rosato Rhoesia è indubbiamente il prodotto di punto della proposta di Cantele, ma i 50 ettari dell’azienda salentina sono oggi impostatati sulla produzione anche di Susumaniello, Primitivo e Chardonnay. “Parte della nostra tenuta è in una contrada sormontata da una masseria, chiamata Monte Calabrese, che sorge sopra una lievissima elevazione del terreno oscillante tra i 40 e 50 metri. Il terreno è calcareo-argilloso, caratterizzato da una aridità dovuta alle scarse precipitazioni. Fortunatamente la vite va molto in profondità con le radici, riuscendo così a sopperire l’aridità del terreno”

Amativo, blend rappresentativo

Tra i vini dei quali Cantine Cantele è orgogliosa, senza dubbio va annoverato l’Amativo. Espressione dei due vitigni più importanti del territorio. “E’ il blend tra Primitivo e Negroamaro che negli anni ’90 mio padre ha pensato ispirandosi ai supertuscan. Ha combinato il potenziale di esplosività aromatica e di potenza olfattiva del Primitivo con la austera ma elegante tannicità del Negroamaro che porta struttura al vino. Parliamo ovviamente di due vitigni diversi che maturano in tempi diversi e vengono vinificati in tempi diversi, quindi solo quando sono entrambi pronti viene fatto l’assemblaggio” Il blend prevede un 60% di Primitivo e 40% Negroamaro, dopo 12 mesi di affinamento in legno fa un passaggio in acciaio prima di fare imbottigliamento per un paio di mesi.

Verdeca, l’alternativa

Di riscoperta si tratta quando invece parliamo del Verdeca. “Fa parte della nostra linea classica, lo abbiamo inserito dieci anni fa come alternativa allo Chardonnay che cominciava a perdere colpi a favore dei vitigni autoctoni. Ecco che abbiamo rilanciato un vino come la Verdeca caratterizzato da una acidità importante, freschezza ed una buona versatilità dal punto di vista enogastronomico” Senz’altro interessante è poi il Teresa Manara, un Negroamaro in purezza dedicato alla fondatrice dell’azienda. Prodotto da vigneti molto vecchi, allevati ad alberello.

Teresa Manara, rispettata la filosofia aziendale

Le uve in piena maturazione vengono raccolte subito dopo Ferragosto. La fermentazione inizia in serbatoi d’acciaio e verso la fine il mosto viene travasato in barrique nel quale rimane per circa sette mesi. L’affinamento avviene in botti di primo passaggio per il 30%, in botti di secondo e terzo passaggio per il 70%. L’assemblaggio di tre declinazioni diverse dello stesso vino che hanno fermentato in legni diversi – conclude Gianni Cantele – permette quindi di avere un vino estremamente complesso e con una bella spalla acida. In linea con l’idea iniziale di mio padre di creare un vino dalla personalità molto forte e dalla buona longevità. Teresa Manara è la filosofia di Cantele in bottiglia

Laboratorio Sinestetico, il Salento si racconta

Profumi che trovano forma nel Laboratorio Sinestetico, dove le materie prime vengono valorizzate attraverso ricette pensate per creare un dialogo sensoriale tra cibo e vino. “L’ispirazione per gli abbinamenti nasce dal territorio salentino. Accanto ad un hummus di ceci con polpa di melanzana e ortaggi di stagione abbiniamo il Teresa Manara Chardonnay la cui morbidezza avvolgente e complessità aromatica valorizzano la cremosità del piatto mentre le note tostate bilanciano l’affumicatura della melanzana. Alle orecchiette con crema di rape, caciocavallo e polvere di olive nere accostiamo il Rohesia Negroamaro, la sua freschezza e struttura esaltano sia le note sapide della crema di rape sia l’intensità del caciocavallo e delle olive. La persistenza ed i tannini eleganti insieme ai sentori di ribes e spezie dolci del Teresa Manara Negroamaro sono invece il perfetto accompagnamento a lunghe cotture e carni succulente. Con Laboratorio Sinestetico – conclude Gianni Cantele – evochiamo il racconto autentico del Salento attraverso i sensi

Porcobrado, il sapore della Toscana in un panino

Porcobrado, carne di maiale protagonista

I nostri maiali i vivono allo stato brado, da qui il nome. L’ unica cosa che non viene fatta in azienda è la macellazione – spiega Pasquale Nastri, responsabile di Porcobrado in via Jacopo dal Verme 17 a Milano – Dopo essere stata cotta al barbecue o al forno, passata in salamoia e quindi affumicata con legno di ciliegio per un totale di 100 ore, la carne arriva a Milano dove deve essere solo rigenerata” Partito otto anni fa con un food truck, oggi Porcobrado è un avviato locale nel quartiere Isola frequentato da persone alla ricerca di una pausa veloce, di qualità e a prezzi contenuti. Un locale di 60 coperti circa (tra la sala e il dehors esterno) difficile però da definire. Ne hamburgheria ne paninoteca, è sicuramente un tributo alla carne di maiale.

Ambiente minimal, sapori toscani in evidenza

Quando Angelo Polezzi ha convertito l’allevamento nella produzione di cinta senese e maiale nero che portava in giro con il food truck, ha elevato la carne di maiale a un livello superiore – prosegue Pasquale Nastri – Il locale nasce invece dall’incrocio delle nostre volontà, quella di Angelo di ampliare l’offerta e la mia di aprire un ristorante” L’ambiente è minimal e post moderno, la saletta è dominata dalla bella insegna posta in alto. Pronti e via, si parte con un tagliere di affettati toscani, dal prosciutto crudo alla finocchiona, accompagnate da patatine rigorosamente non fritte. Un entreè godurioso che prepara il palato ad un viaggio alla scoperta dei sapori toscani.

Maiale-tartufo, accoppiata vincente

Il panino base è pane e spalla di maiale, ma la lista comprende quelli con le salse a base funghi e pomodori, la salsa all’aglione della Val di Chiana, quella a base peperoni e la classicissima cipolla caramellata. “E’ la più venduta – sottolinea il responsabile – ma riscuotono tanto successo anche quelli con salse speciali come la salsa barbecue al whisky, la salsa alla birra e quella al quella al quacamole per coloro che vogliono una salsa più fresca. E siccome maiale e tartufo si accompagnano molto bene, in lista si trovano panini con salsa al tartufo e porcini piuttosto che tartufo e pomodori. Ma il merito è della carne e del pane che utilizziamo

Carne naturale, nessun prodotto chimico

Il procedimento che porta al prodotto finito dura più di 100 ore, la carne è 100% naturale e genuina senza l’uso di alcun prodotto chimico. Il risultato è una carne abbastanza magra. “Partendo da una leggera e profumata affumicatura con legno di melo e ciliegio, riposa alcuni giorni nella marinatura con la nostra ricetta di spezie. La cottura finale avviene esclusivamente con legna di quercia di Cortona nello speciale barbecue da noi realizzato. Ciò permette di cuocere la carne a bassa temperatura bagnandola con il proprio grasso fondente

Anche il pane parla toscano

A fare la sua parte anche il pane impiegato per fare i panini. Ottenuto da una miscela di farine 100% toscane impastate con lievito madre e farina di grano Verna, antico grano aretino macinato rigorosamente a pietra e a basso contenuto glutinico. “Siamo partiti da una michetta toscana fino ad arrivare ad una forma tonda. Il basso contenuto glutinico del grano verna e la lenta lievitazione ci permettono di dare un pane digeribile, con l’aggiunta di 15% di farine integrali gli abbiamo donato anche un poco di croccantezza” Tutto insomma parla toscano, compreso i vini (per la verità un paio di Chianti e un Morellino di Scansano) e un paio di birre artigianali. “Perché – conclude Pasquale Nastri – Porcobrado è il sapore della Toscana racchiuso in un panino

Mannarino, convivialità in macelleria

Mannarino, dal banco alla tavola

Quando la carne diventa protagonista di una esperienza, Mannarino è molto più di una macelleria. Certo, entrando quello che si nota subito è il bellissimo e nutritissimo banco ma se si sposta lo sguardo appena un poco si intravede la annessa area ristorante. Non un ristorante qualsiasi, ma un ambiente caldo ed accogliente nel quale il commensale può esplorare la cucina del Sud Italia attraverso un menù che lui stesso può creare. Nessun menù prestampato, è il commensale stesso a scegliere, direttamente al banco, i tagli di carne che poi gli serviranno in tavola. Accompagnati da antipasti e contorni, sempre del Sud Italia, e, per gradire, un apprezzabile calice di Primitivo della casa.

Convivialità condivisa

Scelto, tagliato, grigliato è il nostro claim – precisa Mirko Lettieri, Store Manager del punto di Via Tenca 12 a Milano – Da noi non vengono solo gli amanti della carne ma anche vegetariani che vogliono esplorare questo mondo. Tutti accomunati dal piacere di entrare in un ambiente nel quale vengono accolti sin dall’entrata e accompagnati in ogni momento della loro presenza. Un ambiente dove la convivialità regna sovrana” Convivialità peraltro condivisa anche dagli amici a quattro zampe. “Da noi i cani sono ben accetti (con loro grande soddisfazione, come potete immaginare), per rendere a loro piacevole la sosta a Il Mannarino abbiamo predisposto una box contenente qualche pezzo di carne

Macellaio di fiducia, figura riscoperta

Nato da una idea di Gianmarco Venuto e Filippo Sironi, i soci proprietari, Il Mannarino è un tributo all’idea della bottega artigiana di un tempo. A cominciare dal nome. “Mannarino è il coltello di cucina usato un tempo dai macellai, quando questi erano un vero e proprio punto di riferimento per i clienti. Persone di fiducia con le quali poter scambiare anche due chiacchiere. E’ il rapporto che abbiamo voluto ricreare da Il Mannarino, l’atmosfera che si respira è un valore aggiunto” Senza togliere che il Mannarino rimane una macelleria a tutti gli effetti. “Da noi si può entrare anche semplicemente per compare la carne e portarsela a casa, la nostra attenzione non cambia

Non solo bombette

Oltre ai grandi classici come costate e fiorentine, filetto e controfiletto, Il Mannarino propone T-bone e tomahawk, arrosticini abruzzesi, zampine (classiche salsicce pugliesi), alette di pollo piemontese panate. Oltre alle polpette della nonna, cotte tutta la notte nel sugo e servite come antipasto. Tutti completati da verdure grigliate, cime di rapa, caponata e patate novelle. Immancabili, le iconiche bombette pugliesi preparate a mano ogni giorno e cotte al forno che di Il Mannarino hanno fatto la storia. “Ci identificano, le serviamo nella versione classica con capocollo di maiale e formaggio canestrato piuttosto che con pancetta affumicata, filetto di maiale e senape. Oppure con capocollo di maiale, provolone, mortadella con pistacchio e panatura al carbone vegetale. Ma non siamo solo questo

Produttore di se stesso

Ma non si fermano qui, negli anni l’offerta di Il Mannarino si è ampliata. Soprattutto negli ultimi tre. “Abbiamo introdotto la bombetta di manzo e quella messinese. Il tomawak, per esempio, lo abbiamo introdotto un anno fa. Da quando cioè abbiamo la filiera controllata, le nostre carni di fassona ed angus provengono da due allevamenti piemontesi che seguiamo direttamente fino a lavorare le carni nel nostro laboratorio di Monza, il Manna Lab. Il Mannarino – conclude Mirko Lettieri – è diventato produttore di se stesso

Tite, l’Etruria in tavola


Tite, tra bistrot e trattoria

Da fuori ha tutta l’aria di un bistrot, una volta entrati si ha la sensazione di essere in una trattoria di matrice contemporanea. Elegante nella sua semplicità, Tite propone un percorso gustativo a cavallo di tre regioni che prende ispirazione dalle tradizioni del Centro Italia per un viaggio alla scoperta delle nostre radici. “Con la nostra proposta andiamo ad abbracciare la cucina di Umbria, Toscana e Lazio – dice Chef Francesco Zucchi Ricordi, uno dei soci fondatori di Tite – Sempre attingendo ai prodotti dei territori, senza abbandonare la tradizione ma con la voglia di rivisitazione di alcuni classici

Essenziale, nell’arredo come nei piatti

A definire la nascita di Tite (Viale Cassiodoro 5, Milano), l’incontro tra Francesco Zucchi Ricordi (ex Bech ed e Rua) e Alessio Algherini (ex Four Seasons e Trattoria Monluè). Essenziale nelle linee, è un ambiente unico con un dehors chiuso a prolungare la sala di 30 coperti. A destra dell’entrata il bancone bar, alle sue spalle la cucina. Nella parete in fondo, la bottigliera che comprende circa 200 referenze. Il tutto in soli 60 metri quadrati. All’esterno, sul marciapiede, un altro dehors di una ventina d posti. Una essenzialità che si ritrova nei piatti. “Negli anni mi sono appassionato di cucina regionale, in Tite deve costituire il pilastro della nostra offerta. Senza fronzoli

Primi e taglieri, viaggio culinario tra Lazio e Toscana

Si parte con i taglieri di cinta senese, a base di lombo, capocollo e coppa di testa, per proseguire poi con gli antipasti. “Tra i più gettonati – rileva Francesco Zucchi Ricordi – le polpette di bollito con salsa verde che ricordano i mondeghili e i crostini con i fegatini toscani, che costituiscono i piatti cardine della nostra proposta insieme alla amatriciana con cacio e pepe e l’abbacchio alla scottadito. Ma anche il carciofo ripieno, che rimane in carta quasi sei mesi nonostante il menù cambi ogni tre” Tra i primi, i tortelli maremmani. “Molto semplici, sono fatti con ricotta, spinaci e parmigiano. Noi li proponiamo con ragù di cinta senese oppure con burro e salvia

Peposo dell’Impruneta, la continuità

Spicca invece, tra i secondi, il Peposo dell’Impruneta che prende il nome dal piccolo centro sulle colline vicino a Firenze, famoso in tutto il mondo per la produzione di terracotta. “Qui era tradizione che le pentole con la carne venissero messe in un angolo della fornace, in modo da sfruttarne il calore per la lunga cottura Tradizione rispettata anche da Tite, con la sola eccezione, ovviamente, della fornace. “Sostanzialmente è uno spezzatino di manzo che cuoce con vino rosso, aglio e pepe per un paio d’ore a fiamma bassa

Menù di terra e quinto quarto, ma non solo

Un menù essenzialmente di terra, che strizza l’occhio anche al quinto quarto. “Da Tite si trova spesso un piatto come la trippa, declinata alla romana o alla fiorentina. E poi anche una coda alla vaccinara rivisitata, che facciamo bollire con erbe aromatiche e vino bianco per poi piastrarla e servirla con crema di cavolfiore e una salsa ottenuta dalle ossa, bollite e tritate, della coda” Ma una strizzatina d’occhio Tite la riserva anche alla cucina di mare. “Abbiamo avuto per un paio di mesi il caciucco alla livornese, servito rigorosamente senza lische per venire incontro ai gusti dei milanesi – sottolinea lo chef – Le nostre seppie in zimino, cotte con aggiunta di spinaci nel brodo vegetale, hanno riscosso molti apprezzamenti”

Aperitivo, c’è anche quello strutturato

Essenziale la carta dei dolci, con poche proposte rispettose della tradizione. Se non per qualche piccola divagazione, come la panna cotta ai cachi o alla castagna e arance. In continua evoluzione, invece, la carta dei vini. “L’aperitivo è improntato sul mondo vino, ma se qualcuno vuole uno spritz o un gin tonic glielo facciamo. In affiancamento, oltre ai classici stuzzichini, polpette e crostini con fegatini. Tra i salumi proponiamo coppa di testa, capocollo e prosciutto crudo per integrare e fare un aperitivo più strutturato che non sia il semplice benvenuto”

Pranzi a tema regionali e novità in arrivo

Interessanti gli occasionali pranzi domenicali a tema regionale. “Sono pranzi con un menù fisso che prevedono tanti antipasti in condivisione, un piatto principale e un dolce. Pensati per uscire dai nostri territori di riferimento. Sono stati l’occasione per proporre pietanze diverse come panissa e muscoli ripieni, salsiccia di bra e guancia di vitello brasata con purea di patate, sarde a beccafico e mezze maniche con pesce spada, melanzana e menta” Novità, l’apertura a pranzo sia di sabato che di domenica e l’apertura della verandina esterna. “Sposteremo i pranzi a tema nel turno infrasettimanali – conclude Francesco Zucchi Ricordi – Nel weekend ci concentreremo su grigliate e piatti a base di porchetta



Il Circolino, una crescita che vale una Stella

Il Circolino, virata verso l’internazionalità

La proposta gastronomica di “Il Circolino” di Monza si divide tra Il Circolino Bistrot, che propone una offerta veloce ispirata alle tapas spagnole, e Il Circolino by Sadler, ristorante gourmet con menù a la carte che segue la stagionalità. Due proposte decisamente diverse, ma accomunate dalla eleganza degli ambienti e dalla cura per il servizio. A goderne è comunque il commensale, che può spaziare dalle croquetas di jamon iberico ed entrecote di manzo con patate fritte e salsa cafè de paris a socarrat de cap i pota, gambero, fave e aioli fino a merluza a la plancha, percebes e patata alla vaniglia oltre a terrina di maiale, verza e salsa cassoeula. Una decisa virata verso l’internazionalità, a dispetto degli esordi.

Locale attrattivo, non solo per i monzesi

Quando abbiamo aperto due anni fa – dice il Resident Chef Lorenzo Sacchi – la proposta era decisamente più semplice. A guidarci era il fortissimo desiderio di piacere alla clientela monzese, tradizionalmente restia alle novità. Ma in realtà non riuscivamo a comunicare al cliente quanto desideravamo, nonostante la bontà della proposta. Proposta che non esprimeva la nostra vera identità, non si sentiva il cuore e la mano del cuoco” Aprile 2024, il cambio di passo. “Ci siamo resi conto che non dovevamo piacere esclusivamente ai monzesi, dovevamo essere attrattivi anche per il cliente che veniva da fuori

Proposte made in Spagna

A rafforzare la scelta, l’internazionalità della brigata. Lorenzo Sacchi è cresciuto professionalmente a Barcellona, la General Manager Maria Sainz è originaria di Madrid. Una atmosfera spagnoleggiante che ha certo influito sulle scelte di Il Circolino. “Abbiamo cambiato totalmente la carta, con il beneplacito di Chef Sadler. Abbiamo fatto un menù degustazione completamente spagnolo con una rivisitazione della paella, la socarrat è una paella molto più fine e caramellizzata. Le chocotes sono invece le gole del baccalà cotte con olio, aglio e peperoncino a fiamma molto bassa, per fare uscire il collagene del quale il baccalà è molto ricco e con con il quale creiamo una emulsione

Metodo e regolarità, il sostegno del personale

Tipicamente spagnola anche una versione di riso e latte. “Cuociamo il riso con il latte e, invece di mangiarlo insieme, lo filtriamo. Abbiamo quindi una latte infusionato al riso che serviamo con un biscotto al pistacchio e gelato agli agrumi” Cambiamenti che hanno trovato sempre piena partecipazione da parte del resto della brigata. “Il Circolino ha avuto la fortuna di non cambiare la brigata di cucina – sottolinea il Resident Chef – La nostra proposta è cresciuta grazie alla costanza del personale, rapido a percepire i cambiamenti. Con metodo e regolarità siamo cresciuti un poco alla volta, ogni passaggio è stato naturale. Ho spinto realmente con la cucina solo quando mi sono reso conto che lo staff era pronto a questo salto. Non puoi iniziare a correre se prima non hai imparato a camminare

Crescita costante

Un gruppo di persone, molte delle quali ignare di cosa fosse il fine dining, arrivato a conseguire, due mesi orsono, il prestigioso riconoscimento della stella Michelin. “Sono davvero felice ed emozionato per questa assegnazione, merito di un duro lavoro portato avanti con costanza e dedizione da tutta la nostra squadra. Ho trasmesso loro quanto ho imparato dai miei maestri, ma ho anche ricevuto molto. Senza di loro tutto questo non sarebbe stato possibile” Con la consapevolezza di avere alle spalle una compagine societaria che gli ha permesso di sviluppare il progetto di un ristorante dove lo scontrino medio si aggira sui 130€,

La Stella Michelin, conferma di un percorso

Voglio ringraziare in particolare il mio sous-chef, Juan José Sanz, e Maria Sainz, che dalla Spagna mi hanno seguito in questo progetto. E ovviamente, Chef Sadler, che mi ha dato fiducia lasciandomi massima libertà nella creazione dei menù e nella gestione della cucina” Un riconoscimento, quello della Stella Michelin, che porta nuovi stimoli nell’ottica di una ulteriore crescita, non solo professionale. “Da monzese mi riempie di orgoglio che Il Circolino sia il primo ristorante di Monza a guadagnarla. E’ un riconoscimento al lavoro fatto e a come è stato fatto, ma anche a ciò che siamo. Ma conclude Lorenzo Sacchi – non ci sentiamo cambiati, siamo solo più consapevoli. Sempre fedeli a noi stessi, il viaggio è appena iniziato”

OFF/Flavour, birreria fuori dagli schemi

OFF Flavour, da una idea di un ex manager del patrimonio culturale

Un percorso universitario da manager del patrimonio culturale all’Università Federico II di Napoli, seguito da una esperienza sul campo. Parallelamente si avvicina al mondo della birra lavorando per cinque anni nel fine settimana in un paio di birrerie del capoluogo campano. Ne rimane folgorato. E’ cosi che Claudio Peruggi, oggi cofondatore di OFF/Flavour a Milano (in Via Benaco 26), vi si dedica completamente partendo con un corso annuale di Beer Sommelier presso l’Accademia Dieffe di Padova (oggi Accademia delle Professioni). Qui l’incontro con Luca Bacci (già socio di Vent du Nord, sempre a Milano), insieme fondano OFF/Flavour.

Birreria dal taglio atipico

Contratti capestri e cambi di vita per motivi familiari mi hanno sospinto verso quella che è sempre stata una mia grande passione, la birra – racconta Claudio Peruggi, classe 1984 – Ho così investito tutti i miei risparmi in un corso professionalizzante che mi ha rilasciato un certificato EQF3 riconosciuto a livello italiano ed europeo. L’incontro con Luca è stato poi determinante, abbiamo unito le nostre passioni per la birra e siamo partiti con questa avventura nella quale ho messo a frutto l’esperienza maturata nei locali di Napoli e le conoscenze acquisite nei miei viaggi in Germania e soprattutto in Belgio. Senza trascurare il taglio storico-culturale, da buon manager del patrimonio culturale”

Un mondo aperto sui fermentati, non c’è solo birra

A passarci di fianco OFF/Flavour non sembra neanche una birreria, a cominciare dall’insegna. “Ho aperto un luogo polivalente, dove la birra ha certamente un ruolo importante. Ma teniamo anche altri prodotti fermentati, dal sidro alla kombucha. Includendo anche una proposta di vini biologici e biodinamici di piccoli produttori, sicuramente non convenzionali dal punto di vista del processo produttivo. Cosi nell’insegna del locale non c’è alcun riferimento alla birra ma piuttosto abbiamo giocato su Only Fine Fermentations” Nei 25 metri quadrati del locale tavoli e tavoloni in stile scandinavo. “A dire di molti clienti non sembra neanche di stare in una birreria ma piuttosto all’Ikea” Ma poi gli impianti per la spillatura non lasciano dubbi.

Tra i clienti, appassionati attenti a percorsi degustativi

Il locale è piccolo ma luminoso, le pareti sono rivestite da un legno chiaro. Una proposta molto lontana da quella del classico pub scuro dalle luci soffuse. “OFF/Flavour – rimarca Claudio Peruggi – non vuole essere una sorta di covo per ubriaconi ma un locale che si mostra capace di proporre in maniera diversa la birra artigianale” La clientela è composta da over35, coppie con bambini, appassionati che vogliono fare percorsi degustativi. Aperti dal tardo pomeriggio, offrono sei spine di birra artigianale in rotazione alle quali abbinano taglieri di salumi e formaggi. “Il mondo della birra artigianale è sempre alla ricerca della novità, se ai miei clienti propongo la stessa birra per tre settimane cominciano a lamentarsi

Non mancano birre analcoliche e proposte gluten free

Toccando tutti gli stili, parto da una chiara per coloro che vogliono bersi una birra in compagnia degli amici, come può essere una birra, della Franconia per arrivare alle ambrate, alle triple e alle dubbel. E una birra di abbazia non manca mai. Raramente poi ho due fusti uguali, quando ne finisce uno ne metto subito un altro diverso, ma rimanendo nello stesso stile. Non mancano poi birre analcoliche, ai taglieri di formaggi e salumi spesso abbiniamo un cestino con pane gluten free

Spazio anche alle richieste più particolari

Età e sesso della clientela sono in realtà poco rilevanti nella scelta delle birre, ciò che fa la differenza è la stagione. “I clienti preferiscono birre meno impegnative nei mesi caldi, più intense e corpose in quelli freddi. Coloro che invece vogliono azzardare si approcciano alle birre acide, soprattutto alle fermentazioni spontanee belghe. Cerco comunque di interpretare i gusti personali delle persone, anche quando arrivano richieste particolari” Come nel caso di un distinto signore sulla quarantina. “Mi ha raccontato – conclude il fondatore di OFF/Flavour – di essersi convertito all’Islam, gli ho così proposto i Proxies (fermentati realizzati con verdure, frutta, erbe e spezie). Vi ha ritrovato il sapore del vino che non poteva più bere, né è rimasto estasiato

Codice Identificativo Nazionale, urge semplificare

Codice Identificativo Nazionale, requisito obbligatorio

Come fosse un iban, identifica univocamente una struttura ricettiva. Con la conversione in legge del D.L. 145/2023, è stata introdotta la norma che definisce il Codice Identificativo Nazionale (CIN) riservato a tutte le strutture turistiche ed agli immobili destinati a locazioni brevi per finalità turistiche. Un requisito essenziale e obbligatorio per tutti, senza eccezioni, per continuare a operare sul mercato nonché per promuovere la loro offerta di ospitalità. Con il vincolo di esporre il codice all’esterno degli immobili e sulle piattaforme OTA entro il termine ultimo di gennaio 2025.

Rischio sanzioni per gli inadempienti

La legge è di fine 2023 – precisa Giambattista Scivoletto, fondatore della piattaforma bed-and-breakfast.it ma tutto è partito circa un anno dopo con tempi di adeguamento di 60 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale avvenuta il 3 settembre. Prorogati di altri 60 giorni” Tutte le strutture ricettive e le attività di locazione breve e turistica in Italia devono quindi obbligatoriamente richiedere il Codice Identificativo Nazionale alla Banca Dati delle Strutture Ricettive. In caso di mancato adeguamento scattano sanzioni da 800 a 8000 euro. “Ma anche le piattaforme – aggiunge Giambattista Scivoletto – rischiano multe da 500 a 5.000 euro per ogni struttura non conforme”

Procedura veloce, ma solo se in regola con le norme regionali

Ottenere il Codice Identificativo Nazionale sarebbe veloce, richiederebbe pochi minuti. Ma tutti i documenti e i dati devono essere sono pronti, bisogna avere Spid o CIE (Carta Identità Elettronica) ed essere in possesso dei dati catastali dell’immobile in cui si opera. Per completare la procedura è fondamentale che le strutture siano poi in regola con le norme regionali e siano censite nei database della propria Regione. Presso la quale è necessario essere accreditati o accreditarsi se non lo si è ancora fatto, soprattutto nel caso delle nuove attività che dopo avere presentato SCIA al Comune o su www.impresacomune.it e ricevuto il codice regionale possono accedere al data base nazionale e richiedere il codice

Regioni e Ministero del Turismo, cruciale maggiore trasparenza

Ad oggi, le strutture ricettive regolarmente registrate risultano, a livello nazionale, essere all’80%. “Per rendere il processo di ottenimento del Codice Identificativo Nazionale più efficiente e meno dispersivo –sottolinea Giambattista Scivoletto – è cruciale che le Regioni forniscano istruzioni chiare indicando tutti i passaggi necessari. Molte, infatti, richiedono adempimenti preliminari che non sempre risultano comprensibili agli operatori, creando confusione e rallentamenti. In questo senso, anche il sito del Ministero del Turismo dovrebbe indicare con maggiore trasparenza che non è possibile registrare una nuova struttura direttamente nella Banca Dati Nazionale

Obblighi burocratici ed amministrativi

Molteplici sono gli obblighi burocratici ed amministrativi ai quale le diverse strutture vanno incontro. “Coloro che volessero mettere in affitto un piccolo immobile per poche settimane devono agire come agente contabile per la tassa di soggiorno, con report trimestrali al Comune ed annuali alla Agenzia delle Entrate, segnalare periodicamente i flussi turistici all’ISTAT, e quotidianamente, su una piattaforma della Polizia, gli alloggiati. Oltre a pagare il Canone RAI maggiorato, la Siae ed altro ancora” Oltre a dovere essere in regola con estintori e rilevatori di gas.

Legislazione antincendio, un rebus

Adeguarsi agli estintori non è facile per un piccolo appartamento, la legge impone estintori con precise caratteristiche della cui manutenzione sono oltretutto responsabili. Sono, invece, esonerati dalla installazione dei dispositivi di rilevazione di gas combustibili e di monossido di carbonio i locatori di unità immobiliari non dotate di impianto a gas e rispetto alle quali sia escluso, con certezza, il rischio di rilasci incontrollati di gas combustibili o di formazione di monossido di carbonio. Per le altre strutture ricettive come B&B, Affittacamere e Case Vacanza la legislazione antincendio è incerta”

Doppia procedura, i tempi si allungano

Il rischio è che strutture fino al giorno prima già legalmente registrate nei database regionali con codici di identificazione regionale, codici fiscali o partite IVA si trovino di punto in bianco ad essere irregolari e correre il rischio di vedere bloccata la loro attività.Il Codice Identificativo Nazionale rimarca Giambattista Scivolettodovrebbe essere un passaggio aggiuntivo e non un ostacolo insormontabile. Sebbene la creazione di una banca dati nazionale rappresenti un progresso in termini di trasparenza, la doppia procedura ha allungato i tempi impedendo a tante strutture di adeguarsi entro le scadenze

Eccesso di burocrazia, le piccole attività sono in affanno

Paradossale che l’attività di accoglienza, che spesso si svolge in modo spontaneo e familiare, sia diventata così complessa a causa di un eccesso di burocrazia. Le piccole strutture, gestite da privati che non dispongono delle risorse per affrontare l’onere amministrativo, rischiano di essere soffocate da un sistema troppo complicato. In alternativa, una attività nata come accoglienza famigliare per pochi mesi ad integrazione del reddito viene sospinta verso una attività molto più professionale con incombenze sempre più pesanti e la necessità di impiegare professionisti per una gestione di lungo periodo della loro attività”

Semplificazione necessaria, pena la paralisi

Quello turistico è il settore più in regola, il più monitorato a livello fiscale. Ma sarebbe utile centralizzare il processo in una unica piattaforma che consentisse di ottenere sia il Codice Identificativo Regionale che il Codice Identificativo Nazionale, per fornire una soluzione pratica agli operatori del settore” Per superare una frammentazione esasperata. “Se in Italia ogni regione si inventa il nome delle strutture – conclude Giambattista Scivoletto – in Francia, oltre gli alberghi, ci sono solo le chambres d’ote che racchiudono quelle che da noi sono b&B, affittacamere e case vacanza. Con unico obbligo di annotare nomi e numeri di carta d’identità degli ospiti stranieri per sei mesi. Urge semplificare, altrimenti rischiamo la paralisi del settore”

Glep Beverages, un sogno in chiave onirica

Glep Beverages, per rompere gli schemi

Quando una mente imprenditoriale incontra una mente creativa il risultato è presto fatto. Ezio Primatesta, albergatore e ristoratore, e Luca Garofalo, designer e creativo, hanno creato nel 2018 Glep Beverages e con essa una linea di spirits fuori dagli schemi, a cominciare dal packaging. «Volevamo fare qualcosa di diverso racconta Luca Garofalo partendo da un prodotto tradizionale come il Vermouth fino a poco tempo fa scarsamente valorizzato se non addirittura dimenticato» Nasce così Vermouth Rosso Vandalo per la ristorazione. “Lo consigliamo con gorgonzola e formaggi erborinati, ma con il cioccolato è il massimo

Rispetto della tradizione e visione onirica

Prodotto con botaniche raccolte a mano sulle Alpi Marittime ed Occitane (cannella, garofano, china, cardamomo, zenzero, vaniglia, rabarbaro, cacao, assenzio), infuse in vino bianco e unite a spezie, in etichetta riporta una pantera nera lacustre. Un animale onirico inventato dallo stesso Luca Garofalo. “Abbiamo coniugato un prodotto che si differenziasse da quanto presente nel mercato con un nome facile da ricordare. Creando al contempo un legame con il territorio, per questo motivo abbiamo scelto gli animali per le nostre grafiche. Come le pantere lacustri di Vandalo con zampe di drago, per ricordare una leggenda del Lago d’Orta che racconta di draghi che anticamente lo abitavano”

Packaging, attenzione costante

Al vermouth seguono il bitter rosso Spinto e l’amaro alle erbe Grinta. Amaricante e intenso il primo, fresco e versatile il secondo. Con una immutata attenzione ad un packaging che vuole ricordare l’importanza della sostenibilità nel rapporto tra uomo e Natura, senza mai dimenticare la componente onirica e fantasiosa. “Nella etichetta del bitter i conigli volanti hanno ali di libellula, insetto tipico lacustre. In quella dell’amaro alle erbe, il lago si trova nei baffi del lupo composti da piume d’anatra. Un lupo non qualsiasi ma il lupo della Tasmania, estinto da decenni per mano dell’uomo”

Gin Fulmine il trionfo, Panettone Vandalo la novità

L’anno 2023 è per Glep Beverages è poi un anno particolare. Alla vittoria con Gin Fulmine (ultimo nato della linea) come migliore gin italiano nella categoria London Dry Gin al World Gin Award, segue l’uscita del loro panettone nato da una ricetta studiata a lungo da pastry chef di fama internazionale. L’impasto, lievitato per 48 ore, prevede l’impiego di farine ricercate, uova fresche, burro, zucchero, lievito madre, scorza d’arancia e di limone, uvetta e frutta candita infuse nel vermouth di loro produzione. Il risultato è una pasta soffice e leggera, impreziosita da una glassa croccante che garantisce l’effetto crunch. Oltre la versione tradizionale, quella del Panettone Vandalo con pera candita e cioccolato gianduia.

Passione senza limiti

Non ci poniamo limiti, Glep Beverages è partito dalla volontà di realizzare un progetto tutto nostro risultato di una passione e non di una necessità. Se non quella di creare qualcosa di artigianale e di impatto fatto con metodi tradizionali, naturale, senza sintesi e con raccolta a mano – conclude Ezio Primatesta – Tra prove, assaggi e visite a distillerie ed opifici abbiamo dato seguito alla mia passione per il vermouth, per arrivare al bitter e al gin che ci hanno dato tante soddisfazioni. In tutto questo il supporto di Luca è stato fondamentale, la sua creatività e visione onirica ci ha permesso di realizzare un sogno

Remedy, ricercato rifugio dalla frenesia cittadina

Remedy, ricercatezza anche nel design

Elegante e raffinato al punto giusto, per concedersi una pausa di livello. Appena entrati, a destra c’è il bellissimo bancone con la bottiglieria a vista. Di fronte, i tavolini in marmo effetto legno per una sosta all’insegna del buon bere. A sinistra dell’entrata, invece, comode poltrone in pelle e un divanetto rendono l’ambiente particolarmente confortevole. E per coloro che volessero concedersi una pausa ludica, un originale quanto raffinato tavolino in legno che riproduce un biliardino. “La pallina fatta di sughero ricorda il tappo della bottiglia – afferma Michele Bernardi, uno dei tre titolari di Remedy in Viale Majno 26 a MilanoE’ un simpatico oggetto di design che rievoca ricordi, l’occasione per giocarsi una bottiglia in allegria

Cigar room la particolarità, la cantina il cuore pulsante

Intimissima la cigar room di due poltrone pensata per gli appassionati di sigari e pipe mentre la saletta al piano superiore è pronta ad accogliere piccoli eventi. Vero cuore pulsante di Remedy è però la cantina al piano inferiore, nella quale è conservata la collezione personale dei tre titolari. Un totale di 18mila bottiglie, delle quali 6mila stoccate, conservate alla temperatura controllata di 14° con una umidità al 65%. Con un focus sulle eccellenze italiane e sulle regioni vinicole francesi più rinomate come Borgogna, Champagne e Bordeaux. La carta di spirits conta invece più di 2mila tipologie, tutto è proposto in purezza. “Non vogliamo sovrapporci ai tanti cocktail bar che già fanno miscelazione molto bene

Tre soci, ad accomunarli il collezionismo

Tutto parte dalla comune passione per il collezionismo di vini e distillati che i tre titolari hanno sempre avuto sin dalla loro frequentazione precedente al loro arrivo a Milano. “La mia famiglia gestisce in Puglia un piccola azienda di cioccolato, fondata da mio nonno nel 1974. Poi è subentrata la passione per il vino ed ho aperto una enoteca specializzata” Passione che ha contagiato anche Amedeo Pagano, suo vicino di casa con una masseria. Il terzo socio Alessandro Michelon, di origine trentina, inizialmente cliente, si aggrega quindi al progetto che prende corpo poco prima dell’inizio della pandemia da Covid.

Una passione da condividere

Da anni collezioniamo vini e distillati provenienti da tutto il mondo, una passione che abbiamo deciso di condividere il frutto delle nostre ricerche con l’appassionato come con il collezionista di bottiglie rare ma anche semplicemente con il cliente a cui piace bere bene e che ha voglia di trascorrere una serata dall’atmosfera unica. Remedy è un locale pensato come rimedio alla parte più caotica della città, un vero e proprio rifugio dove concedersi una pausa” Tra i clienti, tanti sono gli stranieri. “Un 15% è composto da inglesi, russi ed asiatici. Molto orientati su Supertuscan e grandi nomi, come il Barolo. Mentre i clienti italiani sono indirizzati soprattutto verso i vini d’Oltralpe

Tante golosità, per soddisfare anche i palati più preparati

Ma a frequentare Remedy sono anche tantissimi operatori di settore. “Abbiamo ristoratori e sommelier che non vedendoci come competitori vengono da Remedy, dopo la giornata di lavoro, per bersi una buona buona bottiglia di vino, spesso molto difficile da trovare. Alla quale possono accompagnare un piatto di salame e culatello o un tagliere di formaggi pregiati ed affettati dalla Patanegra tagliata al coltello al capocollo di Martina Franca prodotto nella zona del Primitivo di Manduria da un piccolo produttore che lo affina nelle vinacce. Oppure – conclude Michele Bernardi – una Bella di Cerignola, una culaccia o una chicca come il Tarallo di Noci, prima bollito e poi infornato in modo da renderlo fragrante e più friabile. Per una piacevole conclusione della giornata”

Photo credits: Federico Bontempi