L’Espresso ha nominato Pedro Sánchez, presidente del governo spagnolo, Persona dell’Anno 2025.

L’intervista integrale di Felice Florio è in edicola sul settimanale diretto da Emilio Carelli a partire da oggi, venerdì 12 dicembre.

Presidente, l’economia spagnola sta vivendo una fase di espansione, con tassi di crescita molto più alti di quelli italiani. Qual è la ricetta?

«La Spagna, oggi, rappresenta il 40 percento della crescita totale dell’area euro. Abbiamo oltre 22 milioni di persone impiegate, un numero mai raggiunto nella storia del nostro Paese. Credo che il successo della Spagna rappresenti una sconfessione totale delle ideologie neoliberiste predominanti in molti governi europei e occidentali».

E in cosa si differenziano le politiche spagnole?
«Ad esempio, penso alla scommessa sulle energie rinnovabili: ci ha permesso di abbassare il prezzo dell’elettricità fino a raggiungere un livello mediamente inferiore del 20 percento rispetto a quello dei Paesi europei. Poi, grazie al contributo dell’immigrazione regolare, negli ultimi sette anni abbiamo accolto 2 milioni di migranti, di cui oltre il 95 percento in modo regolare. Allo stesso tempo, abbiamo ridotto il tasso di disoccupazione del 40 percento. Logicamente, la crescita non deve avvenire a scapito dei diritti dei lavoratori. Con la riforma del lavoro, abbiamo fatto sì che 4 milioni di contratti precari diventassero a tempo indeterminato. Prima della riforma, la precarietà superava il 30 percento. Ritengo che il rifiuto della politica neoliberista sia il successo del modello spagnolo, che non è altro che il modello socialdemocratico. La Spagna sta dimostrando che crescere e ridistribuire, crescere e decarbonizzare sono binomi possibili».

La crescita economica di un Paese non si traduce automaticamente in una ridistribuzione della ricchezza.

«Solo un dato: durante il mio mandato, e in particolare quest’anno, il 60 percento della crescita è rilevata sotto forma di salari delle famiglie spagnole e il 40 percento sotto forma di redditi da capitale. C’è chi sostiene che stiamo crescendo e quindi stiamo ridistribuendo. Io dico il contrario: stiamo ridistribuendo e, di conseguenza, stiamo crescendo, perché è il potere d’acquisto dei cittadini che ci consente di avere questi tassi di crescita economica».

Riguardo a un settore particolare dell’economia, quello tecnologico, da tempo lei ha avviato una battaglia contro le big tech. Ha parlato di casta, di oligarchi tecnologici che hanno concentrato così tanto potere da condizionare le democrazie. Come intende limitare il dominio dei colossi digitali sulle vite dei cittadini?

«Purtroppo, i social media oggi sono uno Stato fallito, nel quale prevale la legge del più forte, vige un anonimato che calpesta i diritti non solo degli adulti, ma anche dei nostri giovani. Ecco, pretendiamo che l’anonimato finisca e che i tecnoligarchi rispondano delle proprie responsabilità. Questi magnati della tecnologia, oltre a non ritenersi responsabili di ciò che avviene sulle loro piattaforme, non pagano nemmeno le tasse. Dobbiamo riportare lo stato di diritto all’interno dei social media. La Spagna può ovviamente fare la sua parte, ma deve essere l’Europa nel suo insieme a esigere il rispetto delle norme dai giganti della tecnologia».

Siamo un’unione di Stati deboli, in confronto ad altri attori geopolitici, perché i Paesi membri sembrano più interessati a coltivare i propri interessi, senza voler cedere sovranità a Bruxelles. Come dovrebbe cambiare l’Europa?

«Non parlerei di cedere sovranità, piuttosto di condividere sovranità. Ad esempio, oggi l’Europa è più forte grazie alla moneta unica. Quindi, deve sviluppare il suo mercato interno, semplificando e armonizzando la sua legislazione, e imbastire accordi commerciali con regioni o Paesi terzi. L’Europa può tornare ad avere peso nel mondo grazie alla sua potenzialità commerciale, ma anche tramite strumenti legati al multilateralismo. Tuttavia, il paradosso è che più abbiamo bisogno di europeismo, più governi di stampo nazionalista e reazionario nascono. E non fanno altro che indebolire il progetto europeo».

I dazi statunitensi stanno causando danni all’economia europea. Washington può essere considerato ancora l’alleato privilegiato dell’Europa?

«Io sostengo che il modo migliore per rafforzare il legame transatlantico nell’era Trump, per quanto possa sembrare contraddittorio, sia irrobustire il pilastro europeo, così da avere una relazione più equilibrata, certamente più sana per gli interessi dell’Europa. E ciò significa completare quella che Enrico Letta chiama l’Unione del risparmio e degli investimenti. Significa rafforzare e sviluppare il mercato unico, come afferma Mario Draghi. Significa finalizzare accordi commerciali come quello con il Mercosur. Significa fare dell’Europa un punto di riferimento per il multilateralismo e il rispetto del diritto internazionale, ma questo implica coerenza. E coerenza significa non adottare un doppio standard per Gaza e Ucraina. Giustamente, i nostri cittadini, sia italiani che spagnoli, si mobilitano e si ribellano contro le violazioni dei diritti umani che si verificano in entrambi i luoghi. Penso sia un’opportunità per l’Europa diventare garante del multilateralismo».

Lei è stato tra i primi leader mondiali a definire “genocidio” quanto commesso dal governo israeliano a Gaza. Perché l’Occidente ha indugiato tanto prima di condannare Israele? Giorgia Meloni ha detto che lei ha sbagliato quando ha chiesto di non rinnovare l’accordo di cooperazione tra l’Europa e Israele. Qual è la sua opinione?

«Non la penso come lei. Credo che quell’accordo sarebbe dovuto essere annullato semplicemente sulla base degli articoli dell’accordo stesso. Perché uno dei punti impone a tutte le parti di rispettare i diritti umani e Israele non lo sta facendo. Netanyahu sbaglia a credere che la lotta al terrorismo possa avere solo una dimensione securitaria. Non basta, bisogna prospettare soluzioni politiche a quelle società in cui l’ideologia terroristica si è sviluppata, in modo che quelle stesse società emarginino le organizzazioni terroristiche. Se non si offre un orizzonte politico di coesistenza e di pace alla Palestina, purtroppo quel seme di terrorismo continuerà a diffondersi».

Riguardo alla posizione dell’Occidente?

«Il grande fallimento della risposta dell’Occidente su Gaza deve farci riflettere, è stato incoerente. Non possiamo chiedere ad altri Paesi di sostenerci in Ucraina, come stiamo facendo, e allo stesso tempo permettere che venga applicato un doppio standard con Israele e Palestina. Non è accettabile. Dobbiamo essere coerenti e costanti perché difendiamo lo stesso principio, che è il diritto internazionale. Ci troviamo di fronte a due governi, uno russo e l’altro israeliano, che non rispettano i diritti umani e il diritto internazionale. E questo ci riporta all’idea che ho menzionato prima: l’Europa ha la grande opportunità, e la grande responsabilità, di essere garante del multilateralismo».

È vicina l’apertura dei giochi olimpici invernali in Italia. È ipocrita, secondo lei, non sanzionare Israele e i suoi atleti con gli stessi divieti imposti agli sportivi russi?

«Io direi che è incoerente. Con la Russia l’abbiamo fatto, e da subito, perché non si fa con Israele? Dissento dalla posizione del Comitato olimpico internazionale».

A proposito di diritto internazionale, gli Stati Uniti stanno commettendo degli omicidi extragiudiziali nelle acque internazionali, con la motivazione presunta di neutralizzare il narcotraffico.

«La messa in discussione del diritto internazionale è, ancora una volta, preoccupante e aggrava le critiche di incoerenza dell’Occidente quando si parla di doppi standard. Dobbiamo trovare vie di dialogo e una soluzione pacifica a questa crisi. A mio parere, sono inaccettabili queste operazioni extragiudiziali, che indeboliscono il diritto internazionale».

I sistemi politici delle democrazie occidentali stanno vertendo su opposte radicalità. Diversi osservatori vedono in lei e Meloni i due volti di un bipolarismo europeo. E per una fetta di elettorato di sinistra, in Italia, lei costituisce l’ultimo argine alle destre. Lavorerà per far prevalere anche all’estero le idee progressiste del suo governo?

«Mi chiedo: è estremista favorire uno stato sociale forte nel nostro Paese? È estremista sostenere l’uguaglianza tra uomini e donne, assicurare il diritto all’aborto, intervenire in uno Stato fallito come quello dei social network affinché soprattutto i nostri giovani vivano in un ambiente digitale sano? È estremista pretendere coerenza e far rispettare il diritto umanitario a Gaza, in Ucraina, in Sudamerica o in Sudan? È estremista affermare che esiste un’emergenza climatica e adoperarsi per lasciare ai nostri nipoti un pianeta abitabile? È estremista rifiutarsi di tagliare l’istruzione dei nostri figli o le pensioni dei nostri anziani per acquistare armi da un Paese terzo? La Spagna può dimostrare, con i dati, che la prospettiva progressista non solo funziona, ma è un successo. È un successo contro la retorica senza risultati dei governi di destra: cresciamo di più, creiamo posti di lavoro di qualità, aumentiamo il salario minimo, rivalutiamo le pensioni, riduciamo il debito pubblico e il deficit pubblico, accompagniamo le imprese nell’adattamento all’emergenza climatica, abbassiamo i prezzi dell’elettricità, diventando più competitivi rispetto ad altri, scommettiamo sull’educazione, avanziamo nell’agenda femminista, restiamo saldi nel rispetto del diritto internazionale».

Come spiega, allora, la retrocessione della sinistra in questo momento storico?

«Forse l’unica critica che si può muovere ai progressisti è che a volte, quando siamo stati al governo, siamo stati un po’ timorosi. Ciò che caratterizza il governo spagnolo, adesso, è un verbo: “fare”. Noi facciamo. E non significa imporre, perché abbiamo fatto tutto attraverso il dialogo, c’è pace sociale in Spagna. È l’opposto di come agisce la destra quando governa, ovvero disfare le cose. Distrugge molti dei diritti e delle libertà dei cittadini. Forse l’opinione pubblica pensa che l’effetto dell’abolizione di diritti e libertà non sia così immediato, in realtà finisce per influenzare la vita quotidiana di tutti».

Lascia un commento