Nella vita di tutti i giorni Pietro D’Angeli fa il manager, nel tempo libero invece scala monti e si cimenta con il Tor des Géants, un endurance trial di 330 chilometri con 24.000 metri di dislivello tra le meravigliose montagne della Valle d’Aosta. E, anzi, è recidivo: «Ce l’ho fatta. Un’altra volta, dopo il 2021» le sue parole.

Pietro D’Angeli e il Tor des Géants, nuovo incontro dopo quello del 2021 

«A 61 anni sono arrivato in fondo. Ci ho impiegato 143 ore, per lo più camminando. Ma è stato bellissimo».

Qual è la cosa che più le ha lasciato questa esperienza?

«Ho avuto tanto tempo per fare pezzi di strada insieme ad altre persone, momenti dove ci si raccontar la vita. E ho avuto anche tanto tempo per pensare, ma soprattutto per pensarmi». 

A proposito: il suo è coraggio o solo una lucida follia?

«Me lo sono chiesto anche io, cosa mi spinge a provarci ancora e ancora? Alla fine anche se la voce della mia Barbara (la moglie, ndr) mi consiglia di rinunciare, perché ovviamente tiene a me, più passa il tempo e più mi accorgo che la freschezza che sento dentro è una grande risorsa della mia maturità; e mi spinge a dare il massimo».

Una sfida contro se stessi?

«Un qualcosa che mi porta a scoprire cosa sei disposto a fare per raggiungere i tuoi obiettivi». 

C’è un’analogia con il suo lavoro?

«Certamente, è il fare un percorso assieme ad altri. Perché un percorso sportivo o lavorativo può prevedere anche sconfitte; mi sono ritirato tante volte… ma è proprio in questi frangenti che si capisce di che pasta si è fatti e quanto si può andare lontano. La resilienza è una attitudine importante che bisogna sviluppare mantenendo una positività di fondo, che fa essere tutti insieme più creativi, aiuta a trovare quelle informazioni che permettono di non fermarsi alla prima dura salita; ci spingono insieme a saper affrontare i rischi, dove riuscire e arrivare è direttamente proporzionale alla passione, alla determinazione e al saper fare». 

I tre protagonisti del racconto: in giacca rossa Erik Flamini, in giacca gialla Pietro D’Angeli e in giacca scura Piero Brandolini

Analogie con il 2021? 

«No, direi emozioni diverse, nuove; certo avendolo già fatto è un rivivere il percorso, ma farlo con nuovi compagni di viaggio e in situazioni diverse, ogni volta, ti permette di buttarti in contesti nuovi. E il tutto in uno scenario naturale magnifico, quello della Valle d’Aosta».

A proposito, la natura circostante...

«E la bellezza del silenzio, dell’avere lo smartphone in modalità aereo per una settimana; un periodo lunghissimo dove non si leggono mail e si accende il telefono solo per chiamare la moglie e dirgli che sì, va tutto bene. Anche questa è una cosa magnifica».

La natura e la fatica, binomio spesso vincente

«Gran fatica direi; ma quando arrivi in cima e vedi tutte le montagne della Valle d’Aosta attorno a te, è impressionante. E poi durante la discesa verso Cogne ti vengono pensieri, capisci come è bello il mondo e come bisogna assolutamente difenderlo, lasciarlo così anche alle generazioni future, curarlo e volergli bene».

Un viaggio condiviso, diceva

«Sono partito da solo da Courmayeur domenica a mezzogiorno, con la speranza di trovare compagni di viaggio; questi viaggi per me devono essere condivisi, non è semplice però serve trovare nuove persone, con le quali  nasce naturalmente un’empatia. Fatto un terzo del percorso, a Cogne, intorno alle 22, incontro Piero, commercialista di Ravenna, assieme ad un suo amico, Erik, ingegnere. E da lì siamo andati avanti assieme».

L’unione del viaggio cosa ha portato?

«Loro erano al loro primo Tor, sono può giovani; la cosa bella è che si sta assieme giorno interi e per tutto il tempo ci si conosce, ci si aiuta. Ad esempio dopo un giorno intero di pioggia non ne potevo più, mia moglie al telefono mi spronava ad andare avanti ma non bastava. Lì mi hanno aiutato molto. Ma poi ci sono momenti di nervosismo, di crisi e molto altro. Ma quando arrivi insieme è una grande soddisfazione».

È una sfida contro se stessi 

«Certo, ma è anche un momento di umanità. Come quando abbiamo aiutato una signora inglese che era rimasta bloccata dalla paura del buio e del vuoto; vedere superare le difficoltà, mie e degli altri, ti da una forza interiore incredibile. È un po’ mettere alla prova le proprie capacità di affrontare le cose, come accade nella vita di tutti i giorni». 

Prossimo obiettivo?

«Mia moglie non vuole che faccia un altro Tor des Géants, quindi da questo punto di vista prima devo convincerla (ride, ndr). Ci sarebbe il Tor des Glacier, nato alcuni anni fa, che ha qualche difficoltà in più; lei ha paura di perdere il marito, lo capisco. Al massimo ripiegherò sul Tor des Géants, penso che lì non avrebbe da dire, l’ho già fatto de volte». 

Ma perché le piace così tanto?

«Perché premia tutti, i normal people. L’evento finale la domenica, ci sono festeggiamenti e premiazioni; c’è la sfilata dei finisher, si parte dall’ultimo fino al primo. C’è una grande attenzione verso tutti. Vedremo se torneremo. Di certo qualcosa si farà, chissà cosa...»