L’ospite della seconda puntata di Green Team, il mio podcast sulla sostenibilità, è Franco Aliberti. “La sostenibilità non può che non passare anche dall’industria alimentare: con lo chef Franco Aliberti parliamo della necessità di tornare a praticare una cucina più sostenibile, per l’economia e per l’ambiente. A partire dagli scarti. L’ospite della seconda puntata del mio podcast ‘Green Team campioni di sostenibilità è lo chef Franco Aliberti che ci racconta il suo variegato percorso all’interno del mondo food".

Franco Aliberti il tuo è stato un percorso all’interno del mondo del food molto variegato soprattutto per quello che è stato, forse, il passo finale. Quindi, iniziamo dalla fine. Legando tutto ad una tua frase, ovvero: “Che senso ha per uno chef non poter crescere i propri figli”, raccontaci cosa è successo…

“Bellissima frase che racchiude in modo breve la mia filosofia. Siamo nel 2023, siamo in evoluzione e non credo sia giusto che un lavoro non possa conciliare la vita privata, ma soprattutto quella familiare. Per me avere una famiglia al di fuori di un figlio è qualcosa di speciale e non poterla vivere è qualcosa che non funziona nel sistema. Da questa frase, da questa scelta è cambiata la mia vita".

Tutto è nato da un viaggio in Van con tua moglie Elisa Casali, eco cucina, e tuo figlio Filippo…

“Forse il periodo che ha influenzato di più la mia scelta è stato il lockdown, perché Filippo è nato proprio nel 2020. Per quello che facevo ai tempi che era il cuoco a tempo pieno staccarsi completamente da quel sistema mi ha fatto rivivere quei momenti che non avevo mai vissuto. Ad esempio una colazione a casa, un tramonto, veder crescere una pianta sulle scale di casa e tanto altro. Magari sono cose banali per gli altri, ma per me che lavoravo 14-15 ore al giorno sembrava qualcosa di speciale. Poi un figlio ti fa cambiare completamente i programmi e le priorità della vita. Quindi, le decisioni le prendi mettendo davanti la famiglia, tuo figlio, il tutto senza rinunciare ai propri sogni. Io continuo, infatti, a sognare e ad amare il mio lavoro, ma non con quei ritmi. Poi dopo il viaggio in van, la vita passata insieme, quando ho ricominciato a lavorare ho fatto fatica e ho dovuto scegliere"

Ci sono alcune cose che appaiono bizzarre nella tua vita… Al tuo matrimonio la torta nuziale era alla menta e piselli…

“Sì, menta e piselli che ancora oggi tormenta le menti di tanti invitati, l’hanno mangiata e sono stati tutti contenti. Ma mi ricordo la faccia di mio papà quando glielo dissi… beh, dovevamo essere sostenibili fino alla fine…”.

Sei conosciuto per essere uno che ha trattato il recupero degli scarti alimentari in tempi non sospetti, già 10 anni fa…

“Sì, però non ho inventato nulla, già esisteva nelle nostre case che purtroppo si è perso. Io l’ho solamente riattualizzato. Nel 2013 avevo un locale in Romagna e nell’insegna aveva scritto ‘scarto zero’ dolci e cucina. E’ stato difficile far capire perché non c’era la sensibilità di oggi”.

Qulcuno dei maestri ti ha spinto..

"No, è nato da me. Io nasco pasticcere. L’approccio del pasticcere è differente dal cuoco e questo mi ha aiutato. Ai tempi non c’era uno chef precursore della cucina vegetariana. E’ nato da me perché arrivo da una famiglia di contadini e ho vissuto la terra so quanto tempo ci vuole per un ingrediente e poi mi hanno insegnato a non buttare nulla e di aver rispetto di ciò che si mangia.

Questa sensibilità un po’ antica che ti indottrina a non buttare nulla non si è un po’ perso negli ultimi anno nelle persone comuni?

“Sì, si è un po’ perso perché viviamo in una società dove il consumismo va per la maggiore, tutti siamo veloci, frenetici e questo ci fa dimenticare che ci vuole tempo per fare la spesa e per cucinare. Per me una delle cose più importanti è il tempo, bisogna preservarlo. Il tempo ti fa apprezzare delle cose a cui – vivendo in un mondo frenetico - non si fa caso. E’ un sistema che va cambiato, osservare ciò che ti accade intorno sta scomparendo”.

Un gioco Franco Aliberti è un supereroe, quale superpotere vorresti avere?

“Mi piacerebbe accendere una lucina in tutti i cuori di tutte le persone del mondo perché la soste passa da noi ma passa anche da chi produce…”.

Questo mondo che frutta i giovani nel mondo del food come lo vedi? Ho letto una tua frase: ‘l’imprenditore può fare delle scelte ma anche lo Stato dovrebbe farne altre’…

“Si dovrebbe essere da parte una parte di ego, che negli ultimi anni è aumentato per il tipo di società dove l’apparenza è tutto, stare su quel piedistallo se non sei felice non serve a molto. Quindi, una parte di ego si dovrebbe mettere da parte, dico questo perché molte realtà nel food c’è questa voglia di far parlare di sé. E’ un po’ come la regola della domanda e dell’offerta, se non c’è nessuno che ne parla e nessuno che cerca di capire come ovviare allo sfruttamento giovanile lo Stato non trova la soluzione. Bisognerebbe trovare la soluzione insieme allo Stato”.

Il tuo esempio di lasciare nel momento in cui eri arrivato pensi che possa spingere al cambiamento

“Sicuramente può dare la forza a cambiare. Il mio obiettivo era quello. Io sto lottando per cambiare il sistema. Dicono che questo è il lavoro più bello del mondo però nessuno lo vuol fare, qualcosa non va…”

Cucinare rendere felici le persone e sé stessi con quanti ingredienti? Uno solo come dice il tuo libro o quanti?

“Uno solo funziona benissimo ed è quello che cerco di spiegare. E’ un modo di concentrarsi su un ingrediente, solo su quello”.

Ho preso come esempio alcune tue preparazioni: creme caramel alla cipolla, torta di cioccolato e melanzana, bombolone con crema di fave. Al di là della fantasia siamo pronti a mangiare queste cose?

“L’italiano è pronto ma non lo sa. Bisogna azzerare i preconcetti e sperimentare. Il bombolone che a tutti piace, farlo in quel modo dà un effetto ‘wow’. La torta di cacao e melanzane esisteva già nel Sud Italia io l’ho solo attualizzata”.

Immaginando una partita di calcio in quale ruolo giocheresti?

“Quando ero piccolo giocavo come difensore sinistro e ai tempi mi chiamavano il Baresi della situazione. Legandolo al food e alla sostenibilità lascerei quel ruolo. Non certamente attaccante, perché il mio stile non è attaccare velocemente per far capire qualcosa”.

Si può cambiare lo stile di vita ed essere più sostenibili?

“Si può. La cucina sostenibile è sempre esistita, nella quotidianità non si devono fare scelte difficili per attuare il cambiamento. Già riducendo le proteine animali può aiutare alla sostenibilità, scegliere i prodotti di stagione aiuta. La produzione alimentare è una delle attività umane che ha rovinato molto l’ecosistema. Io non dico di diventare vegetariana o vegana, ma contenere il consumo di carne. E provare a mangiare sempre di più vegetali e legumi. E’ uno stile che va cambiato lentamente. Non è impossibile. Il pensiero che mio figlio non possa più mangiare le varietà di pomodori che ho mangiato io un po’ mi prende male, la grande biodiversità alimentare che stiamo perdendo bisogna riprenderla perché è un po’ un cerchio che si chiude perché diverse varietà di coltivazioni danno una mano al Pianeta”.

In casa qual è l’alimento principe da riutilizzare riciclare?

“Il gesto più comune è lo sbucciare, ma togliendo la buccia togli una parte di alimento che potrebbe essere interessante da utilizzare, ma togli anche una parte nutritiva importante”.

Se vuoi ascoltare tutte le puntate del podcast, clicca qui