Manager di successo, papà e ultrarunner, Pietro D’Angeli. L’ordine delle cose va un po’ cercato, rimescolato nel quotidiano di una persona capace di partecipare e arrivare in fondo all’ultima edizione della Tor des Geants e di tornare, giacca e cravatta, subito dietro la scrivania. «Ho partecipato, non ho vinto niente - esordisce Pietro D'Angeli - ma sono arrivato in fondo alla prova più nota, quella dei 330 km. Che in realtà sono 350 km, con un dislivello indicato di 24mila metri mentre siamo sopra i 27mila. Una manifestazione unica, un vero e proprio tour della Valle d’Aosta. Siamo partiti da Courmayeur e siamo andati fino a Donnas, per poi tornare indietro. Attorno a noi uno scenario unico, con il Gran Paradiso, il Monte Rosa, il Cervino e il Monte Bianco».

Pietro D’Angeli, in primis cosa complimenti, non è una cosa scontata portare a casa un'impresa del genere

«E’ stata un’avventura affascinante, un viaggio con se stessi condiviso con tanti altri compagni di viaggio. In una parola, emozionante». 

L’immagine di Whatsapp del suo telefono tradisce l’amore per lo sport e le maratone estreme: quando è nato il tutto?

«Ho iniziato da vecchio. Oggi ho 59 anni e avevo oltre 50 anni la prima volta che mi sono imbattuto in un'impresa del genere. In generale ho sempre amato lo sport, ma la mia era soprattutto una ricerca, una necessità di evadere dalla vita quotidiana e di camminare per boschi e sentieri. Questo contatto con la natura e la bellezza dei luoghi mi creano una situazione di benessere. Essendo romagnolo vado spesso nel nostro Appennino e nelle foreste casentinesi e la serenità che mi lascia passeggiare tra boschi e sentieri è unica. Certo c'è la fatica fisica, ma il vedere gli scenari, il pensare con se stessi e vedere le cose in un modo diverso dallo stress quotidiano, sono situazioni impareggiabili».

L'immagine del profilo whatsapp di Pietro D'Angeli

Questo aiuta a non pensare al lavoro?

«Certo, bisogna stare attenti a dove metti i piedi nei sentieri, l'attenzione è a non prendere storte o cadere».

Lei nella vita di tutti i giorni fa il manager

«Sono il Direttore generale della cooperativa CLAI. Una bellissima realtà dove, oggettivamente, non so come prendono queste mie pazzie. C’è curiosità, certo. Ricordo il mio primo impegno endurance: era la 100km del Passatore di circa otto anni fa, che su strada conduce da Firenze a Faenza. Quando uscì la notizia della mia partecipazione ci fu un po’ di stupore, anche se poi fu bellissimo quando arrivai a destinazione. Lì dove c'era un piccolo comitato d'accoglienza composto da colleghi della cooperativa. Fu una bellissima sorpresa».

E al Tor des Geants?

«Nessun comitato organizzatore, ma so che molti colleghi si collegavano costantemente al sito per seguire il live e vedere come stessi andando».

E a casa, cosa dicono di queste ultra maratone di Pietro D'Angeli?

«Ho tre figlie grandi, due già sposate e la terza che frequenta l’università. Non devo accudire bambini piccoli, sarebbe impossibile prepararsi. Diciamo che mi assecondano molto tutti quanti. Non erano sorpresi della mia partecipazione al Tor des Geants ma mia moglie era un po’ preoccupata. Del tipo 'Hai 59 anni, stai sul divano e smettila con queste pazzie'. Ma allo stesso tempo sono tutte contente perché vedono in me serenità e la voglia di provare sempre una nuova sfida. Bisogna vivere di sfide, saper gestire le forze, i pensieri della testa. Ecco, i miei sanno che punto a questo e mi assecondano».

Lei fa tutto da solo o si fa aiutare da qualcuno?

«Tutto da solo, altrimenti diventerebbe troppo impegnativo. Ho qualche amico che si prepara come me e con il quale mi confronto, ma vivo queste avventure con spensieratezza anche se sono sfide abbastanza impegnative. Non mi preparo tabelle orarie, dieta, eccetera, diventerebbe un lavoro. In sostanza vado dove mi porta il cuore, poi se riesco arrivo in fondo. Qualche volta è capitato che mi fermassi prima».

Se volesse dare uno sprono alle persone per unirsi a queste attività ultra, cosa direbbe?

«Queste attività aiutano ad evadere dalla quotidianità, dallo stress lavorativo. Ma bisogna arrivarci preparati, non si può andare in Valle d’Aosta a 3.300 metri senza mai essere stati in alta montagna e non avere, ad esempio, l’abbigliamento giusto. Le precauzioni servono, ma bisogna preparare anche la mente. L’aspetto fisico arriva fino ad un certo punto, ma c’è l’aspetto della sicurezza e dell’abituare la propria testa a preparare l’impresa che sono fondamentali».

Il prossimo Tor des Geants come impresa per fare un po' di mTeam building in CLAI?

«Ci sono alcuni sportivi in cooperativa, ma credo che come team building la prova da 330km sia un po' troppo. Magari le distanze più brevi potrebbero essere interessanti, perché no?».