Lunedi pomeriggio 13 febbraio prendo appuntamento per andare a visitare la cantina e i vigneti di Nadia Curto. Insieme a me c’è Chiara, collega e grande sostenitrice della figura della donna nel mondo del vino. Esperta di sostenibilità di passaggio dalla sua terra natale, l’Abruzzo. Ci sono tutti i presupposti perché nasca un bel tavolo di confronto e di scambio d’idee. L’azienda è una piccola cantina, la dimora di una vera artigiana del vino.

Cerchiamo di capire precisamente dove ci troviamo: tra gli 11 comuni che rientrano nel disciplinare del Barolo c’è un comune storico che si chiama La Morra che si erge sulla cima di una collina bellissima ed è circondato da vigneti. La piazza centrale è un terrazzo naturale che permette nelle giornate più limpide di vedere fino all’arco alpino. Quando si cammina tra le sue stradine ripide si rimane affascinati, sembra che il tempo si sia fermato a tanti anni fa e tra scorci sulle colline e piccole caratteristiche enoteche ci si sente cullati da una calma e da una serenità uniche.

La cantina si trova nella frazione Annunziata poco sotto al Paese ed immersa nel paesaggio collinare, quando arriviamo la prima cosa che notiamo è come sia poco impattante la struttura in confronto alla maestosità della collina sul quale è situata. Veniamo accolti con grande entusiasmo e subito ci sentiamo a casa. Nadia è vulcanica e ha un sorriso contagioso, la sua energia è unica si sente subito la sua fortissima personalità…

Appena entrati in cantina parte subito, e giuro non ricordo come, ci ritroviamo nel mezzo di un discorso sulla sostenibilità e su come non si possa più solo fare grandi proclami senza accompagnare i fatti alle parole. Nadia è infastidita da tutte quelle persone che vogliono far credere che la chimica sia indispensabile in viticoltura e che non si impegnano a trovare soluzioni naturali alternative ai problemi che possono nascere in vigna. È una paladina della protezione del proprio terreno, una sostenitrice della biodiversità in vigna, e cura le sue piante come fossero dei figli.

Conosce ogni angolo del suo vigneto, sa quali sono i punti che soffrono, sa come aiutare le piante a crescere vigorose e sane, sa quale zona da grappoli migliori e sacrifica le quantità in favore della qualità… Insomma dopo poco più di 30 minuti ci è ben chiaro che Nadia ama il suo lavoro e il suo terreno con ogni molecola del suo corpo.

Mentre camminiamo tra i filari incontriamo il suo papà, il grandissimo Marco Curto, non passa neanche un minuto e nel tempo che ci saluta si ferma a spiegare la legatura e la potatura a una giovane ragazza che lavora per loro e subito dopo si mette a potare un pesco all’ingresso della vigna. Un uomo di più di 80 anni che in pochi minuti fa senza sforzo quello che chiunque altro impiegherebbe giorni di pratica ad imparare e molta fatica ad eseguire. Questo ci fa capire che in famiglia comprendono la natura perfettamente, ne conoscono i tempi e la rispettano, ed essa sembra ricambiare questo rapporto donando loro delle uve di altissima qualità.

La prima cosa che si nota in vigna sono i tronchi e i ceppi giganti, sono caratteristici delle piante vecchie, difatti le sue hanno circa 80 anni. Osservarle è come un tuffo nel passato anche perché sono proprio affianco un vigneto nuovo di 4 anni e la differenza è cosi marcata che lascia senza parole. Il sole ci illumina e la storia di questa terra ci racconta che proprio il terreno di quella collina è composto di minerali differenti dal resto della zona. Nel disciplinare del Barolo le aree dei diversi paesi vengono suddivise in base al tipo di terroir, in differenti Cru o appezzamenti. La particolarità è che i vigneti di Nadia sono proprio in un piccolissimo Cru (Arborina) situato nel centro di un Cru molto più vasto(Annunziata) e solo la sua collina è caratterizzata da materiali differenti nel sottosuolo in quanto oltre alle marne di Sant’Agata tipiche di La Morra nella parte superiore del terreno ci sono le Arenarie di Diano tipiche della zona di Monforte D’Alba.

Detto questo passiamo a parlare un po' dei suoi vini e delle tecniche che utilizza in cantina: Nadia non filtra ne chiarifica i suoi vini ma usa la temperatura esterna per stabilizzarli portando le vasche all’esterno di notte e raffreddandosi con lo sbalzo termico i tartrati scendono sul fondo pulendo il vino. La cantina è molto precisa, prima la parte in acciaio inox e dopo la parte dedicata ai legni.

Nel mezzo troviamo una cisterna chiamata rotomaceratore, che è un macchinario che veniva utilizzato nell’industria del cioccolato ed è stato modificato per il vino, praticamente attraverso una rotazione molto lenta di pale interne il vino resta in movimento e l’estrazione dalle bucce aumenta, il vino diventa più corposo e più caratteristico, una volta terminato questo passaggio si svina inserendo il vino dentro le barriques e si aspetta il lungo affinamento. Questa tecnica viene utilizzata per il Barolo Arborina. Per questo vino Nadia si è confrontata e ha lavorato circa un anno con lo zio Elio Altare, produttore di altissimo livello delle Langhe e famoso per essere uno dei Barolo Boys ai quali è stato dedicato anche un Film. Il confronto l’ha portata a migliorare il suo prodotto e ad usare tecniche che prima non conosceva benissimo ma la cosa più bella è che questo magnifico vino non assomiglia a quello dello zio, anzi ha una vera e propria personalità e delle caratteristiche che solo la mano di Nadia riesce a dare.

Mentre per creare il suo secondo Barolo, molto famoso e conosciuto col nome “La Foia” segue tutt’altro percorso. Molto più tradizionale con macerazione classica ma con rimontaggi manuali e affinamento nelle botti di rovere grandi. Questa tecnica la eredita da papà Marco e aggiungo anche in questo caso il vino è identitario e non si omologa a molti Barolo che si stanno trovando ultimamente in Langa.

Quando penso ai suoi vini e li degusto mi viene alla mente questa frase: “occorre utilizzare il legno nei vini come le spezie in cucina: per esaltare gli altri sapori!” (Emile Peynaud) Infatti i suoi affinamenti riescono ad esaltare tutto il terroir dove crescono le sue uve e i varietali risultano liberi e sinceri nel calice.

Per farci capire come cambia il clima e come è importante stare attenti in vigna ci racconta di una difficoltà avuta in passato per far fermentare la sua Barbera che aveva raccolto qualche giorno dopo al momento ottimale, la gradazione alcolica era poco più alta del solito e la fermentazione faticava a partire, ma alla fine grazie ai lieviti naturalmente depositati sulle bucce e grazie al fatto che non usa chimica in vigna e le sue uve sono come dice lei “VERACI” il problema si è risolto, ma l’ha portata l’anno successivo a raccogliere prima la Barbera del Dolcetto. Questo fa capire come ogni annata sia difficile da interpretare e che ogni esperienza lascia degli insegnamenti e Nadia dopo 22 vendemmie possiamo dire che ha imparato che le sorprese sono dietro l’angolo e che l’importanza nel conoscere le proprie piante è fondamentale, ne macchinari ne esperti esterni potranno mai capire meglio di lei le sue vigne.

Oltre ai due Barolo nominati in precedenza, l’Arborina e il La Foia, Nadia produce: un eccelso Langhe Nebbiolo da vigne vecchie, una Barbera D’Alba coltivata sempre in zona Arborina, un Dolcetto D’Alba che è piantato in zona Gattera vicino al famoso Cedro del Libano, una Freisa vitigno che si dice sia lontano parente del Nebbiolo e che negli ultimi anni è sempre più rivalutato, l’ultimo arrivato che si chiama L’Informale un vino fatto con uve Nebbiolo da vigne giovanissime e una piccola parte di Dolcetto che rende il sorso piacione e goloso.

Assaggiare i suoi vini in sua compagnia è un esperienza unica, in quel momento penso ad Aristotele e alla sua frase: “il vino conforta la speranza” e di fatti mentre il calice si svuota sento confortata la mia speranza che molte persone possano godere di questi vini eccezionali e capire la bellezza di un sorso libero da restrizioni e da dogmi del passato ma ricco di piacevolezza e di un solare futuro.

Non potrò mai ringraziare abbastanza Nadia per la bella esperienza che ci ha regalato e per l’ottimo lavoro che sta facendo per lasciare la sua impronta in questo mondo del vino e mi auguro che possa essere già d’esempio a quei futuri produttori che vorranno essere se stessi e non omologarsi agli altri. Sulla strada del ritorno con Chiara facciamo un piccolo focus sulla giornata intensa e ci rendiamo conto che nessuna cifra al mondo avrebbe potuto appagarci di più di questa esperienza.

A cura di Merati Luca

merati_wine su instagram